Un sistema di deposito cauzionale per bevande non è alternativo ad un sistema di raccolta domiciliare per imballaggi. Al contrario i due sistemi si integrano e completano a vicenda con vantaggi ambientali ed economici per tutti i soggetti coinvolti: Comuni, cittadini, rivenditori e produttori di bevande, aziende del riciclo e della green economy.
In un articolo precedente abbiamo raccontato perché l’emendamento approvato nel Decreto Semplificazioni si propone di aprire la strada all’introduzione di un sistema di deposito cauzionale ( Deposit Return System) per i contenitori monouso di bevande, e perché le preoccupazioni espresse dalla GDO e Federdistribuzione siano “ingiustificate” guardando a cosa succede nei paesi membri dove i DRS sono già stati implementati.
Guardando ai sistemi di deposito già in vigore in altri Paesi non è più necessario inventarsi nulla perché dall’esperienza e dai risultati ottenuti dagli oltre dieci sistemi di deposito in vigore prevalentemente nel nord Europa è possibile ricavare quali sono gli elementi chiave di cui tenere conto nel disegnare un sistema di deposito moderno e adatto alla nostra realtà. I Paesi che hanno fatto scuola sono i paesi scandinavi come Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda che hanno sistemi di deposito consolidati da decenni. Senza dimenticare anche l’esempio della Germania che è il paese con il numero più alto di utenti: 83 milioni. Oppure la Lituania, paese dove è entrato in vigore un DRS nel 2016, che ha dimostrato come da un’intercettazione piuttosto modesta per gli imballaggi di bevande ( ad esempio prima del 2016 si raccoglieva solo il 34% delle bottiglie in PET) si possa balzare in meno di due anni ad un 91,9% di intercettazione media per i contenitori di bevande soggetti al sistema.
GLI ELEMENTI CHIAVE DI UN DRS EFFICACE
Un DRS moderno e capace di raggiungere alti di livelli di raccolta e di riciclo deve avere : 1)una portata nazionale, 2) un valore del deposito sufficientemente alto da incentivare la restituzione da parte dei consumatori, 3) coprire tutte le tipologie di contenitori di bevande (dal vetro, alla plastica, alle lattine), 4) ed infine essere facilmente accessibile e adottabile dagli utenti (sistema di conferimento “return-to-retail”).
Il modello di conferimento che si è dimostrato più efficace e apprezzato nei paesi che hanno scelto questo modello ( sin dalla fase dei sondaggi) è quello del ritorno al rivenditore (return-to-retail) che consente ai consumatori di non cambiare le proprie abitudini di acquisto. Peraltro il più diffuso in Europa.
COME FUNZIONA E SI FINANZIA UN DRS
Sono i produttori di bevande a finanziare il sistema attraverso un contributo EPR (Extended producer responsibility) versata per ogni contenitori immessi al consumo. Altre entrate dell’operatore di sistema derivano dalla vendita degli imballaggi venduti ai riciclatori e dal 10% dei depositi non riscattati. Venendo alle caratteristiche dell’operatore di sistema, il modello prevalente in Europa è quello centralizzato in cui un ente no profit, costituito generalmente da produttori e distributori di bevande sovraintende a tutte le attività perseguendo gli obiettivi di raccolta decisi dalla legislazione che ne sancisce l’entrata in vigore. L’operatore di sistema deve poter garantire una gestione trasparente con processi di clearing dei dati e tecnologie di raccolta affidabili.
RACCOLTA DIFFERENZIATA E DRS CONVIVENZA POSSIBILE ?
Una credenza diffusa soprattutto tra gli Enti locali è quella che un sistema di deposito per gli imballaggi di bevande crei dei contraccolpi negativi al finanziamento della raccolta differenziata degli imballaggi.
Come prima osservazione va detto che sono le esperienze internazionali ad avere dimostrato che i sistemi di deposito cauzionale e i sistemi di raccolta differenziata (RD) come il nostro (regolato dall’Accordo quadro Anci-Conai) sono complementari. Mentre un sistema di RD continua ad operare per tutti gli imballaggi, il DRS si focalizza su quelli per bevande monouso che solitamente sfuggono alla differenziata perché consumati fuori casa on-the-go. Il tutto avviene senza creare costi aggiuntivi per Comuni e cittadini. Infatti, avere meno rifiuti da gestire per gli enti locali, sia nelle raccolte domiciliari che nei servizi di pulizia stradali (che includono lo svuotamento dei cestini e la rimozione del littering) significa risparmi economici importanti. Condizione che permette loro di rivedere i contratti in essere con i loro gestori dei rifiuti. Da non dimenticare che un DRS riduce in modo importante la dispersione degli imballaggi nell’ambiente per la cui rimozione i Comuni spendono cifre importanti, a seconda della tipologia di intervento, non rimborsate dal Conai. Per i cittadini infine, un DRS significa avere meno imballaggi da gestire in casa e bollette dei rifiuti più leggere. Il recente rapporto What we waste della piattaforma Reloop ha quantificato in oltre 7 miliardi di unità gli imballaggi per bevande che sfuggono alla raccolta differenziata in Italia.
Un recente studio del laboratorio Ref ricerche ha quantificato in almeno 1 miliardo di euro il costo totale nazionale di gestione dei rifiuti da imballaggio a carico dei Comuni a fronte di 654 milioni di euro di corrispettivi ricevuti dal Conai nel 2020.
Nonostante questa evidenza la prima reazione degli enti locali nei confronti di un DRS è di chiusura, per la paura di perdere gli introiti che arrivano dalla vendita di imballaggi di valore recuperati con la raccolta differenziata. Un timore che però gli stessi Comuni, una volta realizzato come funziona un DRS ed i suoi vantaggi, riconoscono come ingiustificato. Principalmente perché i sistemi di raccolta domiciliari per gli imballaggi –che i Comuni finanziano in larga misura– hanno costi che generalmente superano di gran lunga quanto i Comuni incassano dai consorzi Conai in base ad un Accordo Quadro (Anci -Conai). Il contributo economico definito come “maggiore onere” che un Comune riceve dai consorzi per finanziare la raccolta differenziata degli imballaggi è basato infatti sul peso dei materiali conferiti alle piattaforme Conai, che può venire ulteriormente ridotto dalla presenza di frazione estranea in percentuale (ovvero quegli articoli conferiti che non sono imballaggi). Ad esempio la bacinella e lo spazzolino da denti nel sacco della plastica, oppure la stoviglia in ceramica o lo specchio conferito con gli imballaggi in vetro.
La tesi sulla perdita di imballaggi nobili e preziosi come valore post consumo è confutata dal fatto che i Comuni non vengono remunerati in base alle tipologie di imballaggi conferiti (bottiglie piuttosto che involucri vari, vasetti o vaschette). Prendendo il caso della plastica, le preziose bottiglie in Pet rappresentano una minuscola frazione percentuale degli imballaggi in plastica delle raccolte differenziate.
In conclusione avere meno quantità di imballaggi da gestire per i Comuni, non si riduce solamente all’avere meno costi, ma anche a liberare risorse ed energie che possono essere impiegate nel miglioramento della raccolta di altri flussi di imballaggi e non solo, penso, ad esempio, ai rifiuti da asporto e da commercio online. Ma anche in attività di prevenzione e promozione dei sistemi di riuso che nel nostro Paese stanno a zero, e che invece fornirebbero soluzioni “upstream”, ovvero a monte del problema rifiuti.
IL NUOVO ORIZZONTE DELL’ EPR CAMBIA LE CARTE IN TAVOLA
Tornando alla questione dei costi della raccolta differenziata degli imballaggi per i Comuni è evidente che, parallelamente alla scrittura dei decreti attuativi, si dovrà trovare un allineamento con l’attuale normativa ambientale e con il recepimento della direttiva Ue 852/2018 che rivoluzionerà lo scenario attuale.
Entro il gennaio del 2023 l’Italia (il termine per gli Stati membri era il 2024) dovrà istituire regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti gli imballaggi conformi all’art.8 e all’art. 8bis della direttiva 2008/98/CE recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 116/2020. Per l’Italia significa passare dal sistema attuale basato sulla “responsabilità condivisa” a una più propriamente “estesa”, ove i produttori sono chiamati a farsi carico dei costi della raccolta differenziata dei propri rifiuti, ai costi del loro trasporto e del trattamento, necessari al raggiungimento dei target di riciclo, alle ulteriori attività necessarie per garantire la raccolta e la comunicazione dei dati, e ad una congrua informazione ai consumatori.
E’ altamente ipotizzabile che quando i produttori di bevande dovranno coprire anche i costi derivanti dalla dispersione dei loro imballaggi nell’ambiente, come prevede la direttiva SUP, propenderanno per un sistema di deposito.
Anche se comparare sistemi di gestione degli imballaggi diversi tra loro risulta un’operazione piuttosto complicata la piattaforma Reloop (che unisce produttori, distributori, riciclatori, istituzioni accademiche e varie associazioni non governative) ha comparato 32 studi internazionali che hanno preso in esame i costi e i benefici perseguibili con l’adozione di un sistema cauzionale, rilevando che in tutti i casi si sono verificati risparmi consistenti per gli enti locali. Il documento può essere consultato o scaricato a questo link: Factsheet: Economic Savings for Municipalities,
Se poi volessimo considerare anche l’aspetto ambientale dei DRS versus i sistemi di raccolta domiciliare, una delle obiezioni che capita spesso di sentire è quella che i primi sarebbero maggiormente impattanti. Evenienza che potrebbe essere possibile quando un sistema viene mal disegnato. Tra gli studi mirati ad un confronto tra sistemi c’è lo studio del 2018 che ha indagato in tal senso nella repubblica Ceca che ha quantificato in un -28% le emissioni di CO2 di un DRS per bevande quando comparato ad un sistema di raccolta domiciliare.
Articolo precedentemente pubblicato su comunivirtuosi.org