Analisi delle obiezioni più ricorrenti in Italia rispetto all’adozione di un DRS

La previsione contenuta nella proposta di Regolamento della Commissione UE su imballaggi e rifiuti di imballaggio (PPWR) di introduzione obbligatoria di un sistema di deposito cauzionale per contenitori monouso per bevande in plastica e metallo, per i paesi che non raggiungono il 90% di raccolta differenziata di tali frazioni, ha acceso in Italia un fervente dibattito sull’opportunità o meno di tale strumento.

Nella seduta del 28 giugno 2023, le Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive), a valle di una ampia consultazione dei portatori di interesse, avevano espresso una valutazione negativa sulla proposta di regolamento (incluse le previsioni relative all’introduzione del DRS), adducendo motivazioni che ricalcano le principali obiezioni sollevate dal mondo delle imprese produttrici e utilizzatrici di tali tipologie di imballaggi e del sistema CONAI.

La narrazione che ha accompagnato la posizione di contrapposizione espressa dai principali portatori di interesse – anche dopo l’approvazione della versione definitiva del testo da parte dell’ Europarlamento del 24 aprile  2024 (476 voti favorevoli, 129 contrari e 24 astenuti) –  è rimasta sostanzialmente invariata. Nonostante l’Italia abbia votato poi a favore in questa votazione.

Dal momento in cui fu presentata la proposta della commissione europea nel novembre del 2022 tale narrazione si è concentrata prevalentemente su una serie di obiezioni volte ad affermare l’inutilità, o peggio, i danni che deriverebbero dall’introduzione di uno strumento nuovo per il panorama nazionale, che “sconvolgerebbe” il sistema attuale già affermato e consolidato. Considerando anche che un sistema cauzionale rappresenterebbe per il nostro paese “una inutile duplicazione di costi economici e ambientali” del sistema attuale che da solo, con l’aggiunta delle raccolte selettive tramite eco-compattatori, ci consentirebbe di raggiungere gli ambiziosi obiettivi stabiliti dalla regolazione europea. Una conclusione che si contrappone con le 16 esperienze di Deposito cauzionali esistenti in Europa dove il DRS affianca il PRO nazionale che si occupa degli altri imballaggi non coperti dal sistema.

Presentazione di Edo Ronchi in occasione del lancio del V rapporto Economia Circolare del CEN

Nel seguito, ripercorrendo alcune delle evidenze emerse nello studio commissionato ad Eunomia e utilizzando i dati più recenti resi disponibili da CONAI sulle performance del sistema Italiano in relazione agli obiettivi della Direttiva SUP, proveremo ad entrare nel merito di tali obiezioni allo scopo di affermare, ancora una volta, la necessità e l’urgenza dell’introduzione anche in Italia di un DRS, da affiancare all’attuale sistema di gestione dei rifiuti urbani.

Non abbiamo bisogno di un DRS perché siamo i campioni del riciclo degli imballaggi in plastica

Una delle principali obiezioni all’introduzione anche in Italia di un sistema di deposito cauzionale per l’intercettazione selettiva e l’avvio a riciclo dei contenitori monouso per bevande è che “siamo i campioni del riciclo degli imballaggi in plastica”. Proviamo allora ad analizzare più da vicino i dati di questo “primato”.

I dati CONAI/COREPLA

Nel nuovo “Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio – Relazione generale consuntiva 2022” di CONAI vengono forniti per la prima volta i dati “ufficiali” relativi ai tassi di riciclo effettivo dei rifiuti di imballaggio (in plastica ed altri materiali) calcolati secondo la nuova metodologia di calcolo introdotta dalla Decisione (EU) 2019/65 più restrittiva della precedente poiché sposta a valle il punto di misurazione dei quantitativi dichiarati come riciclati, chiedendo di eliminare dal conteggio gli scarti industriali degli impianti di riciclo, ovvero di quegli impianti che utilizzano le diverse tipologie di polimeri in uscita dagli impianti di selezione per produrre nuove materie plastiche.
Per la filiera della plastica (plastica + bioplastica), i dati forniti nel rapporto sono i seguenti:

PERCENTUALE DI RICICLO EFFETTIVO SU IMMESSO AL CONSUMO
 20212022
In %le47,6%48,6%
In Kton1.0811.122

Stando ai dati CONAI, pertanto, la percentuale di riciclo effettivo degli imballaggi in plastica nel 2022 è pari al 48,6% per un totale di 1.122 Kton su un totale di immesso al consumo di 2.308 Kton (2.350 secondo il Rapporto di sostenibilità COREPLA 2022). Complessivamente, quindi, sempre secondo i dati forniti da CONAI/COREPLA, circa 1.200 Kton di imballaggi in plastica (e bioplastica) immessi al consumo in Italia non sono stati riciclati, destinati ad impianti di incenerimento, cementifici, discarica o dispersi nell’ambiente.

Plastic tax europea: quanto ci costa

Con l’entrata in vigore della Plastic Tax europea, il cui calcolo è basato sulla quantità di imballaggi in plastica non riciclati (800 euro/ton), 1.200 tonnellate di imballaggi in plastica non riciclati corrispondono a quasi un miliardo di euro (dai quali va sottratta una cifra forfettaria che per l’Italia ammonta a poco più di 184 milioni). Parliamo quindi di circa 800 milioni di euro che l’Italia deve versare nelle casse europee nell’ambito del cd. “sistema delle risorse proprie dell’Unione” introdotto dalla Decisione 2020/2053 del Consiglio del 14 dicembre 2020. Da un articolo apparso in Francia si apprende che l’Italia nel 2023 è stata con 855 Mio di euro il terzo paese contribuente dell’Unione Europea come plastic tax. La Francia ha sorpassato con un esborso di circa 1,6 miliardi di euro la Germania (1,4 miliardi) e a seguire, dopo l’Italia ci sono la Spagna (con 686 milioni), e poi la Polonia (532 milioni). In tre anni di applicazione della tassa l’Italia dovrebbe avere pagato una cifra intorno ai 2,4 miliardi di euro di cui con un sistema cauzionale perle bottiglie in PET avremmo potuto risparmiare un importo che va dai 300 ai 330 Mio di euro.

Da “avvio a riciclo” a “riciclo effettivo”: una questione di trasparenza
Nel Programma generale di prevenzione prima citato Relazione generale consuntiva 2022, CONAI fornisce anche i dati relativi al 2022 calcolati secondo la vecchia metodologia come quantità avviate a riciclo.

Per il flusso della plastica e della bioplastica, il tasso di avvio a riciclo indicato, al lordo delle perdite negli impianti di riciclo, prima che entrasse in vigore il nuovo metodi di calcolo stabilito dalla Decisione 2019/655, era pari al 55,1%. Secondo la nuova metodologia, che sposta il punto di calcolo più a valle, il tasso di riciclo effettivo scenderebbe di 6,5 punti percentuali che corrispondono a circa 150 mila tonnellate di materiali.
CONAI chiarisce che la nuova metodologia di calcolo per la determinazione della %le di riciclo effettivo “si basa su un approccio di computo che prevede il ricorso a rese medie degli impianti finali”. Detto in parole povere, per calcolare il quantitativo di rifiuti di imballaggio che viene effettivamente riciclato, escludendo dal calcolo i quantitativi che, pur essendo stati “avviati ad impianti di riciclo” vengono scartati durante il processo industriale di riciclo, si è fatto ricorso a dati medi relativi alle %le di scarto degli impianti.

Considerato però che la plastica non è un materiale unico, ma composta da tanti polimeri diversi selezionati a valle dei CSS, o avviati autonomamente a riciclo dalle imprese, le rese medie dovrebbero essere calcolate – , dal nostro punto di vista, – per ogni singolo flusso omogeneo avviato a riciclo, in quanto ognuno di questi flussi dovrebbe avere una sua specifica resa media.

Lo stesso dicasi per il flusso del plasmix (che in piccola parte viene avviato a riciclo), per i rifiuti avviati a riciclo autonomamente dalle imprese e per le bioplastiche compostabili.

Di fatto il contratto di selezione dei rifiuti di imballaggio in plastica tra COREPLA, CORIPET e CONIP da una parte, e impianti di selezione (CSS) dall’altra, ha come oggetto (cfr. art. 2) la selezione e lo stoccaggio da parte del CSS di 11 prodotti obbligatori ed eventuali prodotti integrativi, oltre a diverse tipologie di plasmix (scarti di diverse dimensioni costituiti da plastiche miste rigide e/o flessibili) che devono rispondere a specifici parametri qualitativi indicati nelle specifiche tecniche allegate al contratto.

Inoltre, oltre ai flussi avviati a riciclo da parte dei consorzi citati, rientrano nel computo della percentuale di riciclo anche i rifiuti avviati autonomamente a riciclo da parte delle imprese che non conferiscono i propri imballaggi in plastica al servizio pubblico di raccolta né si avvalgono delle piattaforme COREPLA per il ritiro e il conferimento gratuito di rifiuti non domestici. Si tratterebbe, secondo i dati forniti da COREPLA, di 325.000 tonnellate di rifiuti di imballaggi in plastica di diversa natura.

Volendo capire come si è arrivati al dato medio del 48,6 % di riciclo effettivo complessiva degli imballaggi in plastica in Italia riportata da CONAI non si trovano però informazioni degne di nota sui numeri di partenza e sulla metodologia di calcolo adottata, e in particolare, sulle “rese medie degli impianti finali” ovvero sull’entità degli scarti prodotti dagli impianti di destinazione dei rifiuti che vengono “avviati a riciclo”.

Questa assenza di dati riguarda le 8 diverse categorie di prodotti (vedi figura) selezionati nei CSS, le diverse tipologie di plasmix, i flussi avviati a riciclo autonomamente dalle imprese, i flussi avviati a riciclo all’estero e il flusso relativo agli imballaggi compostabili raccolti insieme alla frazione organica e destinati ad impianti di compostaggio, digestione anaerobica e impianti integrati.

Entrando più nel dettaglio della questione ci parrebbe logico per un principio di trasparenza poter accedere pubblicamente a dati e informazioni che sono alla base della determinazione della %le di riciclo effettivo complessiva degli imballaggi in plastica in Italia come :

i bilanci di massa (con le relative assunzioni relative alle rese medie degli impianti finali) relativi ai diversi flussi in uscita dai CSS avviati ad impianti di riciclo in Italia e all’estero (oltre al flusso degli imballaggi in bioplastica compostabile intercettati attraverso la RD dei rifiuti organici);
i documenti di riferimento del progetto “Obiettivo riciclo” (Criteri generali, Specifiche tecniche, Regolamento) sui quali si basa il sistema di gestione adottato da CONAI/Consorzi di filiera/CONIP volto alla verifica della qualità del dato;
le modalità e le assunzioni alla base della determinazione della %le di riciclo effettivo relativa ai rifiuti avviati autonomamente a riciclo da operatori indipendenti.
Ci parrebbe logico, inoltre, che le verifiche witness (ovvero gli audit “sul campo”) negli impianti finali di riciclo effettuate dall’ente certificatore (DNV), riguardassero sia il plasmix, sia le principali categorie di prodotti selezionati dai CSS per conto di COREPLA, per il successivo avvio a riciclo, raffigurate nella tabella precedente.

Per quanto riguarda gli imballaggi in plastica compostabile, ci ci aspetterebbe anche che le verifiche sul campo effettuate dall’ente certificatore, riguardassero sia gli impianti di compostaggio, sia gli impianti di digestione anaerobica/integrati, considerato che tali impianti rappresentano la destinazione prevalente dei rifiuti organici da RD trattati in Italia.

Gli audit compiuti sul campo, per verificare se le medie utilizzate per il computo della percentuale di riciclo effettivo siano realistiche, parrebbero tuttavia essere solamente tre: due per gli imballaggi in plastica tradizionale e uno per gli imballaggi compostabili.

Le verifiche sul campo effettuate dall’ente certificatore, sono state infatti limitate, per quanto riguarda gli imballaggi in plastica “tradizionale”, all’impianto I.Blu del Gruppo IREN1e all’impianto della Demap S.r.l.2, mentre, per quanto riguarda gli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, al solo impianto di compostaggio della BIOFACTORY S.p.A., in provincia di Bergamo.

Tutto questo considerato, in mancanza di dati puntuali e di una metodologia di calcolo accessibile e trasparente, prendere per “buono” il dato relativo al riciclo effettivo degli imballaggi in plastica in Italia (48,6% nel 2022), oltre a non essere esattamente da “campioni del riciclo”, significa compiere un “atto di fede”.

Il caso studio Emilia-Romagna versus le performances di raccolta/riciclo nazionali

L’Emilia-Romagna una regione che presenta solitamente performances di gestione dei rifiuti superiori alla media nazionale con un 74%  di raccolta differenziata nel 2022 – contro una media nazionale del 65,2% (Rapporto ISPRA rifiuti urbani 2023) riporta un tasso di riciclo degli imballaggi in plastica che si attesta a meno della metà del dato nazionale del 48.6% fornito da CONAI . Nel 2019 il tasso di riciclo stimato nell’ambito della campagna “Chi li ha visti?” è stato pari al 23% per attestarsi dopo 3 anni al 25% del 2022 ( fonte: rapporto sui rifiuti urbani e speciali 2023 della regione Emilia-Romagna).

Va notato che l’obiettivo sul tasso di riciclo come obiettivo da raggiungere al 2022 era pari al 32% mentre dalla tabella a seguire risulta posticipato al 2027.

Al netto delle differenze metodologiche legate al calcolo del riciclo effettivo degli imballaggi in plastica, la differenza tra il dato nazionale e quello regionale appare degno di nota e meritevole di approfondimento.

Le performances del sistema COREPLA

Secondo il Rapporto di sostenibilità COREPLA 2022, gli imballaggi avviati a riciclo direttamente da COREPLA (provenienti dalle raccolte differenziate dei Comuni e dalle piattaforme convenzionate del settore Commercio & Industria (C&I) è pari, nel 2022, a 727.481 tonnellate, pari a circa il 38,9% del totale degli imballaggi immessi al consumo di pertinenza Corepla (1.871.218 ton), ovvero che hanno pagato il CAC (il contributo ambientale CONAI) al COREPLA.

Di questi, come già visto, 325.000 tonnellate (per i quali è stato versato il CAC al CONAI/COREPLA) sono stati avviati a riciclo direttamente dalle imprese (senza passare dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani o dalle piattaforme convenzionate COREPLA). Considerando anche i quantitativi di imballaggi in plastica avviati autonomamente a riciclo dalle imprese, la percentuale di avvio a riciclo relativa agli imballaggi di competenza COREPLA si attesterebbe intorno al 56%, al lordo degli scarti degli impianti di riciclo.   

Non abbiamo bisogno di un DRS perché siamo già molto avanti nella raccolta differenziata dei contenitori in PET per bevande.

Nel rapporto commissionato dalla Campagna “A buon rendere” alla società Eunomia, ai fini del confronto dello scenario attuale con quello derivante dall’introduzione di un DRS, abbiamo assunto (per lo scenario attuale al 2021) una %le di intercettazione dei contenitori in PET per bevande del 73,4%. Un valore volutamente conservativo (ovvero superiore a quello reale), calcolato a partire dai dati presenti nello studio CONAI/PwC3. Il dato ufficiale reso noto da CONAI nel più recente “Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio – Relazione generale consuntiva 2022” porta tale valore al 68,9% (2021), circa due punti percentuali in più rispetto alle stime del Consorzio per il 2022 (67,0%).

Si tratta di stime che tengono conto sia dei flussi intercettati attraverso le raccolte selettive (ancora marginali rispetto al resto), sia dei flussi intercettati attraverso le raccolte tradizionali, secondo la formula seguente:

La scelta di posizionare a monte il punto di misurazione, per le bottiglie intercettate con raccolta tradizionale, e quindi di contabilizzare come intercettati per il riciclo anche le bottiglie in PET che vengono disperse nel plasmix, è particolarmente controversa. La relazione CONAI mette infatti in evidenza la diversa interpretazione del Consorzio CORIPET (che condividiamo), il quale “ritiene che ai fini degli obiettivi SUP e con particolare riferimento alla raccolta differenziata tradizionale, non rilevino i quantitativi di CPL in PET rilevati dalle analisi merceologiche in ingresso ai CSS, bensì i quantitativi pesati in uscita dai CSS”.

Tradotto, CORIPET sostiene una diversa lettura della metodologia di calcolo introdotta dalla Decisione di esecuzione (UE) 2021/17524, ovvero la necessità di collocare il punto di misurazione a valle dei CSS, escludendo dal calcolo del quantitativo di bottiglie in PET intercettate nella raccolta tradizionale degli imballaggi in plastica, i flussi dispersi nel plasmix durante il processo di selezione nei CSS. Su questo punto, prosegue la relazione CONAI, “proseguiranno i confronti con le Istituzioni, ISPRA in primis, al fine di dipanare ogni dubbio”.

Attendiamo con molto interesse l’esito di tale confronto, specie alla luce della recente pubblicazione da parte di ADEME (L’agenzia per la transizione ecologica francese) della metodologia per il calcolo del tasso di intercettazione delle bottiglie in PET ai fini SUP.

Secondo l’ADEME, infatti, “la decisione di esecuzione (UE) n. 2021/1752 del 01/10/2021 sul metodo di calcolo del tasso di raccolta differenziata per le bottiglie per bevande monouso impone ora agli Stati membri di misurare le quantità di bottiglie di plastica raccolte per il riciclaggio dopo le operazioni di cernita, cioè all’uscita dei centri di selezione”.

Si evidenzia che la scelta di posizionare il punto di misurazione a monte o a valle dei CSS ai fini della determinazione del tasso di raccolta per il riciclo delle bottiglie in PET per bevande, ha forti ripercussioni sul dato finale. Parliamo per l’Italia di circa 12 punti percentuali, che porterebbero il tasso attuale di intercettazione per il riciclo delle bottiglie in PET per bevande a circa il 57% sull’immesso al consumo, contro il 94,4% calcolato nel Rapporto Eunomia nel caso di introduzione di un DRS 5. Dati CONAI alla mano, infatti, nel 2021 i quantitativi pesati di bottiglie in PET in uscita dai CSS rappresentavano il 61% dell’immesso al consumo, contro un 73,4% stimato in ingresso.

Al di là dell’esercizio contabile, necessario al fine di valutare la “compliance” rispetto agli obblighi di legge, ovvero la capacità (o meno) del sistema di raccolta tradizionale, integrato dalle raccolte selettive, di raggiungere l’obiettivo del 90% al 2030 stabilito dalla Direttiva SUP, sul piano oggettivo, quello che conta, è il quantitativo di bottiglie in PET per bevande immesse sul mercato che viene effettivamente avviato ad impianti di riciclo e, ancor più, effettivamente riciclato (al netto del perdite negli impianti di riciclo). Sul piano meramente numerico, pertanto, la differenza tra un sistema DRS e il sistema di raccolta tradizionale, presenterebbe una forbice di quasi 40 punti percentuali di avvio a riciclo, forbice che si allargherebbe ancora di più se si considerasse il riciclo effettivo, vista la maggiore qualità del flusso intercettato da un DRS rispetto a quella del flusso di bottiglie selezionate dalle plastiche miste.

Si rileva inoltre che la Decisione di esecuzione (UE) 2021/1752 della Commissione del 1° ottobre 2021 5(cfr. articolo 2 c. 4 lett. b) stabilisce che, qualora i rifiuti di bottiglie monouso siano stati raccolti insieme ad altre frazioni di rifiuti urbani di imballaggio o ad altre frazioni di rifiuti urbani, i rifiuti di bottiglie monouso sono considerati raccolti separatamente solamente se vengono soddisfatte specifiche condizioni e segnatamente se:

  1. il sistema di raccolta non raccoglie rifiuti che possono contenere sostanze pericolose;
  2. la raccolta dei rifiuti e la successiva cernita sono concepite e realizzate in modo da ridurre al minimo la contaminazione dei rifiuti raccolti di bottiglie monouso da parte dei rifiuti di plastica non generati da tali bottiglie e da parte di altri rifiuti;
  3. i gestori dei rifiuti istituiscono sistemi di garanzia della qualità (certificati da una terza parte indipendente) per verificare che siano soddisfatte le condizioni di cui ai punti i) e ii).

La “ratio” è assolutamente evidente: la necessità di garantire che il flusso di bottiglie raccolte possa essere utilizzato per la produzione di materie prime seconde idonee al contatto con alimenti, ovvero per la produzione di nuovi contenitori in plastica per bevande. Nel merito, va evidenziato che l’attuale sistema di raccolta differenziata degli imballaggi in plastica consente il conferimento di rifiuti che possono contenere sostanze pericolose e non soddisfa quindi quanto previsto al punto i. 

Ma non è finita qui. I requisiti posti dalla Decisione UE per poter contabilizzare come raccolti separatamente i rifiuti di bottiglie monouso raccolti insieme ad altre frazioni di rifiuti urbani di imballaggio o ad altre frazioni di rifiuti urbani, sono strettamente correlati con gli ulteriori obblighi in materia di “contenuto di riciclato”.

La Direttiva SUP, infatti, pone in capo agli Stati Membri l’obbligo di garantire un quantitativo minimo di contenuto di materiale riciclato nella fabbricazione di nuove bottiglie (25% al 2025 e 30% al 2030) calcolato come media per tutte le bottiglie in PET immesse sul mercato nel territorio dello Stato membro in questione. La ratio, ancora una volta, è chiaramente quella di consentire l’utilizzo del PET riciclato in applicazioni a contatto con alimenti e, in particolare, per la fabbricazione di nuove bottiglie per bevande. Ad oggi, come rileva CONAI nel suo “Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio – Relazione generale consuntiva 2022”, il contenuto medio di rPET nei CPL in PET alimentari nel 2022 è stato pari a circa l’8%, in calo rispetto all’anno precedente. Un gap (rispetto agli obblighi di legge) che sarà difficile se non impossibile colmare con rPET nazionale considerato che il PET riciclato ottenuto a partire dalla raccolta differenziata tradizionale (dove le bottiglie in PET per liquidi alimentari sono raccolte insieme alle altre tipologie di imballaggi per poi essere selezionate nei CSS), non può essere utilizzato per la fabbricazione di imballaggi a contatto con alimenti per motivi di carattere igienico sanitario. Questo espone la filiera delle bevande a forti rischi di approvvigionamento del materiale sui mercati internazionali e alla volatilità dei prezzi che caratterizza il settore, mettendo a rischio l’intero comparto.

Nel merito, CONAI sottolinea l’opportunità “che anche le Istituzioni promuovano momenti di riflessione atti a identificare gli strumenti più opportuni per rendere possibile questo traguardo, anche alla luce del fatto che si tratta di un obiettivo medio nazionale e non riferito al singolo trasformatore o al singolo formato di vendita”.

Nell’attesa di conoscere gli esiti di questi “momenti di riflessione”, che immaginiamo prendano in considerazione il fatto che si stanno utilizzando soldi pubblici per sostenere la diffusione delle raccolte selettive con eco-compattatori, da affiancare alle raccolte tradizionali, abbiamo già una soluzione pronta, sicura e a portata di mano: la stessa sostenuta e sospinta a livello Europeo da UNESDA (l’Associazione europea delle aziende produttrici di bevande analcoliche in Europa) e da Natural Mineral Waters Europe (l’associazione di riferimento europea dei produttori di acqua minerale): l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per contenitori monouso per bevande abbinato ad un “diritto di prelazione” sull’accesso prioritario alle plastiche riciclate da parte dei soggetti interessati dall’obbligo europeo.

Tale meccanismo introdotto nel Regolamento del Sistema di Deposito slovacco ha permesso, alla fine del secondo anno di attività, di utilizzare il 70% delle bottiglie in PET e lattine raccolte per produrre le stesse tipologie di contenitori. Il tasso di raccolta ottenuto in due anni (2022-2023 ) è stato pari al 92%. Vedasi il documentario “Chiudere il Cerchio” da noi realizzato.

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