Visioni a confronto sul ruolo del Deposito Cauzionale: un convegno alla Camera promosso dal Vicepresidente Sergio Costa

Si è svolto lo scorso 9 ottobre 2024 presso la Camera dei Deputati il convegno “Strategie e scenari di sostenibilità alla luce dei nuovi obblighi di legge: il potenziale ruolo del deposito cauzionale” promosso da Sergio Costa, vicepresidente della Camera e già Ministro dell’ambiente. E’ stata la prima occasione di confronto tra i portatori di interesse che giocherebbero un ruolo in una futura implementazione di un sistema di deposito per imballaggi per bevande monouso nel nostro paese.

Un resoconto commentato e qualche annotazione di fact-checking a cura della Redazione della Campagna “A Buon Rendere”.

I lavori del convegno sono stati aperti dall’intervento del vicepresidente Costa  “L’economia circolare è fondamentale per la transizione ecologica e il deposito cauzionale deve essere un pilastro in Italia così come già avviene in Europa. Il tema ormai non è più “se” farlo, ma “come”. Le problematiche tecniche si superano e questa mattinata serve proprio ad avviare e consolidare un confronto su questo. Io adesso auspico una convergenza politica trasversale e condivisa tra tutti i partiti. Pensiamo che nessuno si metterà di traverso a una proposta di legge che possiamo depositare dopo averla fatta circolare, con approccio inclusivo, tra gli stakeholders. È una sfida che lancio a tutto il Parlamento in questa sala che è il tabernacolo della democrazia legislativa”.

Costa ha spiegato che, seppur l’Italia si trovi in Europa in una posizione privilegiata sul fronte dell’economia circolare, sia necessario ora un salto di qualità, anche per raggiungere gli importanti target europei della direttiva SUP e del nuovo regolamento imballaggi. Altre nazioni in Europa   –  ha ricordato Costa   –  l’hanno implementato da tempo superando il 90% di raccolta dei contenitori per bevande e che per l’Italia è importante andare verso un sistema che abbatterebbe diverse tipologie di costi, sia a carico dello stato come la Plastic tax, che a carico dei Comuni per la gestione dei rifiuti da imballaggio, ma anche le emissioni di Co2.
Dopo la proiezione della clip del documentario Chiudere il cerchio: alla scoperta del sistema di deposito slovacco prodotto dalla Campagna “A Buon Rendere” è intervenuto Enzo Favoino suo responsabile scientifico, che ha esordito dicendo che il deposito cauzionale è oramai la regola a livello europeo, perchè fornisce una risposta efficace ai target europei di intercettazione degli imballaggi per bevande che non sono stati mai stati raggiunti a livello mondiale senza un DRS. “A livello europeo i network di produttori di bevande (Produttori e imbottigliatori di acque minerali, di bevande e anche Plastic Europe sono tutti a favore per un efficientamento della nostra filiera. Confermato da manifesto per la circolarità di UNESDA l’associazione dei produttori di soft drinks UE e sottoscritto da Assobibe. Chi ha visione industriale è a favore del DRS. I benefici riguardano un aumento dei tassi di raccolta e di riciclo, disponibilità di materiali per un riciclo closed loop, una riduzione dei gas serra, la prevenzione del littering e una riduzione della Plastic tax “. Favoino ha proseguito il suo intervento illustrando in dettaglio i benefici di un sistema DRS, e ricordando che attualmente PET e alluminio post consumo vanno ad alimentare altri settori come il tessile e l’automotive, in un processo di riciclo tecnicamente definito downcycling, che costringe a perpetuare prelievo ed importazione di risorse primarie da altre parti del Pianeta. La registrazione è disponibile qui.

Stima costi di gestione annui per un DRS in Italia che verrebbe finanziato dai ricavi della vendita dei materiali ai riciclatori, dai depositi non riscossi e dal contributo EPR pagato al sistema per ogni contenitore immesso sul mercato

Chiarimenti sui costi di implementazione del sistema di deposito cauzionale

Negli ultimi due anni sono girate sui media o in convegni alcuni numeri riguardanti i costi di implementazione di un sistema di deposito cauzionale (DRS) in Italia, frutto di studi sul tema finanziati dal Conai con alcune voci di costo sovrastimate. Ad esempio sul fabbisogno di RVM Reverse Vending Machine per la raccolta automatizzata, ipotizzato in 100.000 unità ( (quando in Germania ne sono state installate circa 30.000) con un costo di due-tre miliardi, miliardi, oppure il costo dell’infrastruttura informatica: ipotizzato tra i 500 milioni e 1 miliardo di euro.

Lo studio della campagna Sistema di deposito cauzionale: quali vantaggi per l’Italia ed il riciclo ha stimato in realtà per l’Italia un fabbisogno di RVM intorno alle 25.000 unità – affiancate da punti di restituzione manuali –  e una spesa sui 5 milioni di euro o poco più, per l’infrastruttura informatica e antifrode, desunta dai costi sostenuti negli altri Paesi UE e parametrata sulla realtà nazionale.

Favoino ha inoltre sottolineato nel suo intervento alcuni aspetti caratterizzanti dei sistemi cauzionali, che spesso vengono travisati nella narrativa circolante in Italia da parte degli oppositori del sistema che ipotizzano ricadute negative sullo Stato o sui cittadini: un sistema cauzionale si autosostiene senza interventi di alcun tipo da parte dello Stato o di altri enti pubblici. Il contributo EPR che i produttori che immettono bevande pagano al sistema DRS vale pochi centesimi per contenitore (stimato in un min. di 0,2 cent./max 1,3 per la plastica, 1,9-2,5 per il vetro e 0 per l’alluminio) a fronte di benefici economici significativi sull’economia e sulle comunità.

La Spagna non è una best practice di riferimento nella gestione degli imballaggi

Laura D’Aprile, Capo dipartimento sviluppo sostenibile del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (MASE) nel suo intervento ha auspicato un confronto tra studi e richiama nel suo ruolo di figura tecnica la necessità di considerare gli impatti ambientali di un DRS nel suo insieme di attività anche logistiche, e di guardare come paesi più simili a noi affrontano il dibattito sul DRS, come ad esempio la Spagna.

D’Aprile ha quindi citato uno studio “UNESCO” uscito “recentemente” ritenuto apprezzabile per la sua impostazione basata sul ciclo di vita. In realtà lo studio in questione del 2027 è stato prodotto da Catedra UNESCO, in precedenza Catedra ECOEMBES, chiaramente collegata alla PRO Ecoembes l’organizzazione per la responsabilità estesa del produttore in Spagna, che ha cambiato opportunatamente il nome. Gli autori, Pere Fullana e Alba Bala, sono consulenti che lavorano per Ecoembes e altre organizzazioni del mondo imprenditoriale. Ma il vero punto dolente sta nell’attendibilità dello studio “Ariadna Cátedra UNESCO de ciclo de vida y cambio climático” che non è stato più presentato dal momento in cui sono uscite recensioni critiche sul metodo adottato che ne ha influenzato i risultati. Dall’analisi che può essere letta qui emerge come il modello di DRS sul quale è stato basato lo studio si discosta dal modello predominante a livello UE che è stato proposto in Spagna con il risultato che la stima dei costi di implementazione risulta 15 volte maggiore rispetto a quanto ipotizzato da precedenti studi. Tra le assunzioni che ne hanno influenzato i risultati vi è: l’inclusione di bevande non contemplate nelle ipotesi sul sistema come il vino e gli alcolici, l’indicazione di un costo di gestione a contenitore di molto superiore a quello mutuato dalle esperienze UE esistenti, il modello di raccolta che presume un’infrastruttura di raccolta al 50% automatizzata e al 50% manuale (quando la proporzione tra le due opzioni è solitamente nell’ordine dell’80% contro il 20%) e infine la mancata considerazione della logistica inversa nel computo degli impatti ambientali ed economici, nonostante il ruolo determinante che la stessa può giocare nell’efficientamento di tutto il sistema logistico.

Ecoembes è peraltro nota in ambito europeo per i dati inaffidabili su raccolta e riciclo che dichiara in Europa. Un recente studio “Analysis of the separate collection rate of plastic beverage bottles up to three litres in Spain” commissionato a Eunomia da Zero Waste Europe e dall’Alleanza Rifiuti Zero spagnola rivela che il tasso di raccolta per le bottiglie in PET è al 36%, ben lontano dal 70% previsto dalla Legge sui Rifiuti e dal 71% dichiarato da Ecoembes. Situazione che, secondo la nuova legge sui rifiuti del marzo 2022 prevede l’istituzione di un DRS, di cui sono già state definite le caratteristiche, con un imminente intervento da parte del Ministro per la Transizione Ecologica e la Sfida Demografica.

Sia D’Aprile che il segretario generale dell’ANCI Veronica Nicotra, intervenuta subito dopo, pongono il problema dell’attuale infrastrutturazione impiantistica, ancora frammentata nel Centro Sud, presentata come un ostacolo all’implementazione di un DRS. La dirigente del MASE aggiunge però che il gap impiantistico verrà però colmato al 2026 con i progetti finanziati dal PNRR. Nicotra evidenzia però che solamente il 30% dei progetti presentati dai Comuni è stato accolto per un finanziamento, e che la Tari rappresenta al momento un tributo iniquo ed esorbitante per il cittadino di città del Sud come Catania, causato dall’esportazione dei rifiuti verso gli impianti al nord o all’estero.

Infine la proposta lancia da D’Aprile, condivisa sia da Nicotra che da altri relatori, per “arrivare preparati agli obblighi del 2029” è stata quella di partire “con una sperimentazione da fare in tre aree del nord, del Centro, e del Sud con accompagnate da una valutazione LCA.

Favoino ha replicato che esaminare i benefici di un sistema cauzionale in Italia, l’unico sistema che permette ai paesi di arrivare e superare il 90% di intercettazione per i contenitori per bevande, non significa venir meno all’orgoglio per i risultati conseguiti dal paese con la raccolta porta a porta. Sul tema delle infrastrutture deficitarie attuali, e dei relativi carichi ambientali, ha precisato che non si coglie il nesso tra la situazione attuale e una futura introduzione di un sistema cauzionale. Infine ha concluso: Si sta cercando di arrivare agli obiettivi europei con sistemi selettivi, e con gli eco-compattatori che adesso stiamo finanziando con risorse dello Stato mentre scommetto che così non arriveremo a raggiungere gli obiettivi.”

Effettivamente se sussistono timori sul fatto che l’implementazione di un DRS nel nostro Paese possa mettere in crisi il sistema infrastrutturale italiano della raccolta e del riciclo, aumentare gli impatti economici e ambientali rispetto alla situazione attuale, o avere effetti negativi sugli investimenti fatti, è opportuno che vengano effettuate indagini e studi a supporto di queste tesi, in modo che, nel disegnare un modello italiano di DRS che tenga conto delle nostre specificità, se ne possa tenere conto. Questo è l’approccio intrapreso come campagna A Buon Rendere, che sta facendo informazione sui DRS europei come caratteristiche e risultati ottenuti affinché si mutuino le best practice e si faccia tesoro degli errori fatti da altri Paesi. Come ha ricordato Favoino abbiamo a disposizione una vastissima evidenza di DRS da cui prendere spunto implementati non solamente nei Paesi nordici, ma in mete turistiche e in Paesi dell’Europa centrale. Come Paesi vicino a noi, oltre alla Germania, il più grande mercato del DRS con 83 milioni di utenti, avremo con il prossimo gennaio 2025 la partenza di un DRS in un primo Paese confinante con il nostro che sarà l’Austria.

Secondo Stefano Laporta, Presidente dell’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) il tasso di raccolta al 90% entro il 2029 è un obiettivo ambizioso ma raggiungibile, perché in molti paesi europei è già stato fatto, grazie ai sistemi cauzionali, “ma che forse dobbiamo contestualizzare in un paese come il nostro che ha caratteristiche particolari“. Poi precisa che nel 2022 delle 14,6 milioni di tonnellate di imballaggi immesse sul mercato ne sono state riciclate il 70,7% superando l’obiettivo del 65% al 2025, ma che per il 2029 c’è un gap che non è facile da colmare. Conclude invitando a considerare oltre ai costi diretti anche quelli indiretti che possono derivano dall’inazione rispetto all’applicazione del Regolamento PPWR, trattasi di costi indiretti molto importanti anche in termini di tutela dell’ambiente, che sono stati introdotti con gli articoli costituzionali 9 e 41 .

Simona Fontana – Direttrice generale CONAI : “il DRS è una moda

Simona Fontana ha ribadito l’importanza di un approccio basato sui dati per il Conai “L’attenzione e l’accuratezza dei dati per noi è un valore. Il sistema Italia ha dimostrato di essere uno tra i più affidabili nel fornire informazioni all’Unione Europea“. Secondo la direttrice del Conai i dati in loro possesso dicono che l’Italia, con un’intercettazione del 70% per le bottiglie in PET, non avrà problemi nel raggiungere obiettivi della Direttiva SUP, essendo il tema già oggetto di tavoli di discussioni da due anni, con attività già messe in campo sui territori per arrivare all’obiettivo. Quello che manca, afferma Fontana, sono le 60-70 mila ton che finiscono nel rifiuto indifferenziato recuperabili spingendo “sulla corretta raccolta differenziata”. Fontana conclude l’intervento con una similitudine chiedendosi se “possa avere senso cambiare una casa vecchia per una nuova, e a spese di chi, per seguire la moda del momento” Ovvero lasciare una strada che ha consentito all’Italia di conseguire gli obiettivi attuali per adottare un modello che deve coesistere con il sistema attuale EPR “andando ad aumentare gli impatti economici e ambientali“.

La Campagna “A Buon Rendere”, condividendo l’importanza di un confronto sulla base di numeri ed evidenze chiede infatti, dal momento del suo lancio nel 2022, un confronto tra studi che valutino l’impatto di un DRS in quanto ritiene che il tempo stringa, ed è sulla fattibilità in Italia che bisogna concentrare gli sforzi disegnando un sistema adatto alle caratteristiche del nostro paese. Tuttavia ad oggi l’unico studio a disposizione che valuti l’impatto di un DRS in Italia, oltre a quello prodotto dalla campagna, è lo studio “I contenitori per le bevande analcoliche verso l’economia circolare ” commissionato da Assobibe alla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile nel 2020.

Sull’attendibilità dei numeri forniti all’Europa ai fini del computo dell’importo della Plastic Tax è uscita recentemente una relazione della Corte dei Conti dal titolo : “Entrate dell’UE basate sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati”

Se è vero che esiste un consenso unanime sul fatto che la raccolta differenziata non sia il fine, ma il mezzo per massimizzare il riciclo, e se è l’Italia il paese nel quale il 58% degli imballaggi in plastica raccolti non ha un valore di mercato, al punto che è necessario compensare i riciclatori perché accettino questi flussi, forse abbiamo un problema che esula in parte dal tema del DRS, ma che pone interrogativi sulla misurazione delle performance di raccolta e riciclo (vedasi più avanti sul punto della metodologia di calcolo adotta per misurare il tasso di raccolta delle bottiglie in PET ai fini SUP **). Nel corso di audit svolti in tre Stati membri, tra cui l’Italia, i membri della Corte hanno rilevato un controllo insufficiente sulle operazioni di riciclo e il “rischio molto elevato che i riciclatori non sottopongano a operazioni di trattamento i rifiuti di imballaggio di plastica ricevuti”, visto che in uno dei Paesi visitati “per la maggior parte della plastica inviata ai riciclatori, non vi era uno sbocco di mercato economicamente sostenibile“. Nel report gli auditor dell’Ue sollevano dubbi anche sui rifiuti esportati fuori dall’Unione, rispetto ai quali gli Stati membri “non sono attualmente in grado di verificare” se vengano riciclati “in condizioni ampiamente equivalenti ai requisiti previsti dalla normativa dell’Ue”. Rispetto ai dati forniti dalla maggior parte degli Stati membri che si avvale della deroga riguardante il punto di calcolo – si legge nel report – i rifiuti non vengono misurati all’atto di immissione in un’operazione di riciclaggio, bensì solo in uscita dall’operazione di cernita. Pertanto, non vi sono garanzie sufficienti che i rifiuti dichiarati dai riciclatori come ricevuti siano di fatto sottoposti a trattamento.

Alla luce di questa situazione l’affiancamento di un DRS alla raccolta differenziata tradizionale dovrebbe essere visto come una risorsa, e non un problema. Gli imballaggi per bevande che oggi causano alle comunità dei costi verrebbero così gestiti da un sistema cauzionale che li intercetterebbe sino al 98% per un sicuro riciclo closed-loop, riducendo così drasticamente il littering e i costi di smaltimento per quei contenitori che finiscono nell’indifferenziato che, ricordiamo, vengono sostenuti al 100% dai Comuni.

Agata Fortunato – Responsabile Ciclo integrato dei rifiuti città metropolitana Torino

Agata Fortunato nel ricordare che la città metropolitana di Torino, la più grande d’Italia con 313 comuni è stata la prima città metropolitana ad aderire alla campagna “A Buon Rendere” ha condiviso i risultati di una campagna di analisi merceologiche sulla presenza di rifiuti riciclabili nel rifiuto indifferenziato condotta in alcuni Comuni del torinese. L’analisi ha coinvolto un bacino di Comuni con raccolta differenziata domiciliare, con un tasso di raccolta differenziata del 65% e con una presenza di eco-compattatori. Da un focus sui contenitori per bevande è emerso che anche nei territori di studio con sistemi di raccolta maturi, la dispersione di bottiglie e lattine nel rifiuto indifferenziato non è residuale.

Giovanni Bellomi – Direttore Generale COREPLA

Il direttore di Corepla ha esordito dicendo che non è corretto affermare che nessun paese senza un DRS ha raggiunto il 90% di intercettazione per le bottiglie in PET in quanto la Svizzera è arrivata al 92% e che ci sono Paesi UE con “DRS fallimentari” da cui possiamo imparare. Ad esempio l’Olanda ferma al 70%, Malta e Lettonia all’80% e il caso della Lituania che ha avuto problemi con un calo del tasso di riciclo, poi pare recuperato.

In realtà la situazione generale dei DRS europei in termini di risultati di raccolta, che Bellomi tende a ridimensionare, è tutt’altro che fallimentare. Partendo dal caso Svizzera i dati pubblicati da Swiss Recycling riportano un tasso di raccolta delle bottiglie in PET che va dall’81% del 2022 all’83% del 2023. La Lituania che ha avviato un DRS nel 2016 ha raggiunto in meno di due anni il 90% di intercettazione, e vi sarà modo di approfondire lo stato dell’arte del DRS in Lituania e non solo, con l’imminente uscita del Global Deposit Book 2024.
Malta, con tutte le difficoltà tipiche di una meta turistica ha avviato il sistema nel novembre del 2022 e a fine 2023, dopo solamente 13 mesi, è arrivata ad un 80% di intercettazione media, e all’81% per le bottiglie in PET.
la Lettonia è stata un pochino più lenta, arrivando dopo due anni dal 45% di intercettazione per le bottiglie in PET all’83%. Il vetro a rendere è balzato dal 50% al 90% dato che risolve la piaga dell’abbandono delle bottiglie in vetro denunciato da Ichnusa.

L’Olanda, che ha in essere un DRS dal 2005 per le bottiglie in plastica con formato da 1 litro in su (con un tasso di intercettazione del 94% ) ha ampliato il sistema alle bottiglie di piccolo formato solamente nel 2021, e poi alle lattine nel 2023. Il motivo di tale ritardo è stata l’opposizione dell’industria delle bevande e della PRO nazionale (il corrispettivo dei ns consorzi per l’EPR). Arrivare ad avere un DRS “completo” è stato possibile solo grazie alla pressione esercitata dalle ONG all’interno di una coalizione che riuniva tutte le maggiori organizzazioni ambientali, dei consumatori, il 98% dei Comuni/Provincie e le associazione degli allevatori (che vedevano migliaia di capi morire a causa dei frammenti di lattine e bottiglie di plastica presenti nell’erba dopo i taglia meccanici). Effettivamente il caso olandese tra i Paesi citati da Bellomi rappresenta, se non il classico fallimento (in quanto sono obbligati a rimediare in fretta per evitare una multa milionaria), un worst case da cui trarre le dovute lezioni.

L’affermazione che non sia possibile introdurre un DRS in Paesi che hanno in essere un sistema EPR che regola la raccolta differenziata viene smentito dai Paesi che hanno avviato il DRS dal 2016 in poi.

Infine il dato citato da Bellomi che su 18 miliardi di bottiglie immesse al consumo, l’86% delle bottiglie che non riusciamo ad intercettare siano proprio i piccoli formati, conferma il fatto che sono le bevande consumate fuori casa il vero problema. Conai e Corepla hanno dichiarato che concentreranno i loro sforzi per recuperare questi 8 miliardi di bottigliette ma immaginare che, senza un forte incentivo le persone portino con sé i contenitori consumati “on the go” per poi conferirli nella differenziata di casa, o negli eco-compattatori rappresenta, a tutti gli effetti, un’illusione. Senza l’applicazione di un deposito incentivante ( in Olanda 15 centesimi ha dimostrato di non esserlo) non si potrà contare infatti sulla partecipazione degli utenti che ora abbandonano o conferiscono nei cestini stradali e nell’azione concomitante di raccolta degli imballaggi abbandonati da parte di terzi che avviene nei paesi con un sistema cauzionale per riscattare il deposito.

Giovanni Albetti – Direttore Generale di CORIPET “l’Europa deve cambiare radicalmente perché la sfida é esistenziale (cit.)

Per il direttore Di Coripet Albetti la prima domanda da porsi in considerazione degli obiettivi europei di raccolta dovrebbe essere “come possiamo creare un sistema virtuoso che riduca il consumo di materie prime vergini, le emissioni di Co2 e che ci renda meno dipendenti dall’importazione di materie prime dai paesi extra UE “. Albetti valuta positivamente l’obbligo di contenuto riciclato per le bottiglie in PET introdotto per la prima volta che richiede però un flusso di materia prima seconda di alta qualità, possibile solo con raccolte selettive di alto livello. “Nel 2025 arriveremo se siamo bravi al 74% di intercettazione per le bottiglie, forse al 77, ma al 90% così come siamo non ce la faremo mai” dichiara Albetti. ” Noi di Coripet Abbiamo installato 1500 eco-compattatori in tutta Italia la più grande sperimentazione nazionale ed è una sconfitta per noi ammettere che gli eco-compattatori non bastano per raggiungere l’obiettivo. C’è bisogno di accelerare verso un vero cambiamento che, come tutti i cambiamenti porta con sé rischi, vantaggi, svantaggi e investimenti da fare

Albetti ricorda che anche quando l’Italia si trovò a decidere per la raccolta differenziata si presentò la stessa situazione, ma che la cosa importante allora come ora fu decidere e avere il coraggio di darsi una deadline. “Sono le raccolte selettive che hanno un valore industriale. Se l’industria trova la situazione vantaggiosa, poi tutto va da sé. Il Regolamento imballaggi PPWR usa la bottiglia [come esempio di gestione ottimale ndr ] per tutti gli altri imballaggi. Se non si riesce con le bottiglie in PET non si riuscirà neanche con il resto, e viceversa.” Il direttore di Coripet conclude augurandosi incontro diventi il punto di partenza per un confronto e un lavoro proficuo, con la GDO e gli Istituti di Ricerca, ma dandosi delle scadenza per arrivare a decisioni.

Stefano Stellini – Direttore Generale CIAL

Secondo Stefano Stellini di CIAL in Italia, con un basso consumo pro-capite (36 lattine) quando comparato ad altri Paesi UE, e con un tasso di riciclo del 93.8%, “è difficile immaginare sistemi alternativi all’attuale“. Altri dati condivisi dal direttore sono le tonnellate immesse al consumo, circa 30.000, e l’informazione sul fatto che il consumo di bevande in lattina avvenga per un 65/70% nelle case, e per il 30/35% nel circuito Horeca. Situazione che – a suo avviso – renderebbe ” insignificante” il consumo fuori casa, e pertanto “un contributo modesto al littering” dato dalle lattine. Infine secondo Stellini un DRS non sarebbe necessario anche perché le lattine che finiscono nel rifiuto indifferenziato vengono comunque recuperate nella fase di post combustione (termovalorizzatori) o negli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB).

A dire il vero, rispetto a tali affermazioni riceviamo come Campagna numerose testimonianze da parte di realtà aderenti che svolgono attività di cleanup che ci dicono che nei luoghi dove avvengono più frequentemente gli abbandoni, le lattine non mancano, anche se meno numerose delle bottiglie in vetro e in plastica.

In generale il mancato riciclo “can to can” l’unico che previene il consumo di alluminio vergine e gli impatti ambientali correlati, resta un tema importante agli effetti della decarbonizzazione del settore.

Inoltre le attività di recupero post consumo delle lattine prima citate che avvengono in Italia, seppur importanti ai fini del riciclo, comportano un dispendio di risorse energetiche ed emissioni di Co2 che sarebbero evitabili con un recupero da raccolta selettiva tipico dei DRS. Infine, i target UE fanno espressamente riferimento alla separazione alla fonte, il che escluderà dal calcolo l’alluminio recuperato dalle scorie degli inceneritori.

Walter Regis – Presidente ASSORIMAP

A portare il punto di vista dei riciclatori è intervenuto Walter Regis che ha spiegato che il nuovo regolamento europeo PPWR contiene, oltre al DRS , anche altri importanti provvedimenti per il riciclo.

Il presidente di Assorimap ha precisato che un sistema di deposito cauzionale in Italia viene visto con favore dalle aziende del comparto che rappresenta per la potenzialità che i DRS hanno di aumentare l’intercettazione dei materiali, mettendoli a disposizione per il riciclo. Più che di qualità il settore manca di quantità ha concluso Regis e “un DRS potrebbe risolvere un problema di approvvigionamento storico pe ril comparto. Spesso le aziende del riciclo non riescono ad avere materiali e non riescono a fare così una programmazione aziendale”.       

David Dabiankov Lorini – Direttore ASSOBIBE

Per il direttore di Assobibe è importante guardare a quello che viene fatto all’estero, ma andrebbe considerata la situazione nazionale e adottare l’approccio suggerito da Fontana direttore del Conai di guardare a cosa ci manca per raggiungere gli obiettivi per le bottiglie in PET, evitando di copiare altri paesi diversi dall’Italia se per alcuni dettagli.

Nonostante Assobibe sostenga buona parte del manifesto di UNESDA “UE Manifesto for 2024-2029” , per quanto riguarda il DRS l’associazione rivendica una diversa posizione. Secondo il direttore Lorini per i contenitori in vetro e alluminio utilizzati dai produttori associati non servirebbero “altre misure o stimoli aggiuntivi” per migliorarne l’intercettazione. Rispetto agli obiettivi di intercettazione per le bottiglie in PET, possono essere valutati altri strumenti integrativi, come l’incentivo al consumatore in varie forme per stimolarne il coinvolgimento, anche senza il DRS. Lorini cita nel suo intervento la difficoltà per i produttori di bevande ad accedere al PET post consumo con investimenti da parte delle imprese che rischiano di essere vanificati in quanto gli imballaggi raccolti non vengono utilizzati per un riciclo closed-loop, bottle-to-bottle. “Oggi –conclude Lorini– la situazione in Italia non è favorevolissima, alle nostre aste vengono dall’estero a comprare materia prima seconda e la distolgono dal mercato italiano delle bevande. Necessario facilitare il ritorno in possesso dei materiali per chi ha obblighi di utilizzo di contenuto riciclato.

L’unica risposta possibile alla situazione sfavorevole che i produttori di bevande incontrano in Italia sta nell’implementazione di un DRS che contenga nel regolamento una clausola simile a quella del DRS slovacco, che garantisca ai produttori di bevande un accesso privilegiato ai materiali raccolti, per farne contenitori identici con contenuto riciclato. La scelta di appoggiare la posizione attendista dei Consorzi del Conai, ignorando l’avvertimento di Coripet, non aiuterà le aziende associate, e soprattutto quelle più piccole, a risolvere il problema dell’accesso difficoltoso ai materiali post consumo.

Tra i deputati intervenuti Eleonora Evi (PD), che ha seguito tutto l’evento, ha espresso apprezzamento per l’analisi del rifiuto indifferenziato compiuta dalla Città metropolitana di Torino, in quanto offre chiare indicazioni su come muoversi per migliorare l’intercettazione dei contenitori di bevande, dicendosi convinta che l’incentivo del deposito potrà aiutare laddove gli eco -compattatori non hanno funzionato. In risposta al tema delle infrastrutture impiantistiche carenti soprattutto al centro sud ha affermato di non vedere correlazioni con il tema del DRS che ci permetterà di raggiungere gli obiettivi europei anche in considerazione del fatto che le infrastrutture vanno comunque potenziate.

Gli altri interventi dei deputati hanno sposato in generale la linea di opposizione al DRS del MASE e dei consorzi del Conai intervenuti, Tra questi l’intervento di Erica Mazzetti – Forza Italia che nella precedente legislatura aveva presentato una mozione a favore di un sistema cauzionale insieme ad altri colleghi di partito.

In chiusura è intervenuto nuovamente Sergio Costa che ha ricordato che un DRS e la raccolta differenziata domiciliare – che funziona bene nelle piccole città ma meno nelle grandi –  sono due sistemi complementari e non antagonisti, ribadendo la sua volontà di arrivare alla realizzazione di una proposta giuridico-normativa da intraprendere collegialmente e trasversalmente al gruppo politico di appartenenza.

Vai alla registrazione completa dell’evento e alla video intervista post evento di Teleambiente a Sergio Costa e Stefano Laporta.

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