In Europa diversi Paesi hanno già introdotto o stanno per introdurre sistemi di deposito cauzionali per imballaggi monouso di bevande. Quali scenari si aprono con l’approvazione di un emendamento all’interno del Decreto Semplificazioni che mette le basi per l’adozione di un sistema di deposito per gli imballaggi di bevande in Italia?
Silvia Ricci
I sistemi di deposito cauzionale per gli imballaggi di bevande in vigore in oltre 40 giurisdizioni a livello globale hanno dimostrato di poter raggiungere percentuali di intercettazione altissime, che superano facilmente il 90% degli imballaggi immessi al consumo, offrendo opportunità economiche, occupazionali e di risparmio per gli Enti Locali e i contribuenti.
In Europa la necessità di raggiungere gli obiettivi di raccolta e di contenuto riciclato per le bottiglie di plastica imposti dalla Direttiva SUP ha spinto diversi Paesi membri a iniziare l’iter per adottare un sistema di deposito cauzionale. Entro il 2024 altri 12 Stati dovrebbero aggiungersi ai dieci paesi dove i sistemi cauzionali operano con successo da decenni.
I Sistemi cauzionali, o Deposit Return System (DRS) in inglese, sono uno degli strumenti più potenti di attuazione dei principi dell’economia circolare dettati dal Legislatore europeo, in quanto permettono di prevenire la produzione di rifiuti e di ridurne la dispersione nell’ambiente, preservando così risorse preziose che restano più a lungo nei cicli produttivi. La chiave di volta per il successo dei DRS sta nell’efficace meccanismo della cauzione: una piccola somma (dai 10 ai 25 centesimi) aggiunta al costo della bevanda, che viene poi restituita al momento della riconsegna dell’imballaggio.
QUALI SCENARI PER L’ITALIA
Nel decreto Semplificazioni, convertito in legge lo scorso luglio, è stato inserito uno specifico emendamento proposto da Salvatore Penna (M5S) che aprirebbe la strada anche in Italia ad un sistema di DRS per i contenitori di bevande monouso. Gli articoli usciti sui Media hanno riportato che si tratterebbe di un sistema di vuoto a rendere con ricarica dei contenitori, un sistema che interessa attualmente in Italia una quota residuale del mercato dell’acqua minerale, della birra e di pochi altri tipi di bevande.
In realtà, da quello che ho avuto modo di approfondire, l’emendamento in oggetto non si prefigge di introdurre un sistema di vuoto a rendere finalizzato al riutilizzo (se non quello di materia), bensì un sistema di deposito cauzionale per contenitori di bevande monouso, allo scopo di massimizzare il processo di raccolta selettiva ed il riciclo dei contenitori di bevande monouso in vetro, plastica e in metallo (lattine). Un indizio in tal senso si trova nel passaggio dell’emendamento che indica come oggetto del cauzionamento gli “imballaggi in vetro, plastica e metallo”.
Di fatto un sistema di ricarica per i contenitori di bevande funziona in genere in Europa con le sole bottiglie in vetro, con l’eccezione della Germania e un paio di altri paesi dove si ricaricano anche le bottiglie in PET dotate di un maggiore spessore necessario a garantire più riutilizzi. Non vi sono invece esperienze legate al riutilizzo / ricarica di lattine in alluminio.
A questo punto la palla passa al MiTE che, in collaborazione con il Ministero alla Sviluppo Economico, dovrà scrivere i decreti attuativi entro 120 giorni dall’approvazione della legge.
Oltre a definire l’obbligatorietà per i produttori di bevande di partecipare al sistema e la portata (nazionale) i decreti attuativi dovranno definire nel dettaglio aspetti chiave della regolamentazione del sistema tra cui:
a) quali sono i contenitori e le tipologie di bevande soggette al sistema; b) il modello di conferimento degli imballaggi, che avviene principalmente presso la Distribuzione Organizzata / i rivenditori (return -to- retail); c) l’importo del deposito, (piccolo sovrapprezzo pagato dal consumatore quando si acquista la bevanda e restituito nella sua totalità al momento della riconsegna del contenitore presso i supermercati e rivenditori); d) quali sono gli obiettivi di raccolta che questa tipologia di raccolta selettiva nota come DRS (Deposit Return System) dovrà conseguire; f) le caratteristiche che dovrà avere l’operatore del sistema (solitamente un soggetto costituito da produttori di bevande e distributori) e gli adempimenti ai quali il sistema dovrà assolvere sotto il controllo ed il monitoraggio del Governo o di un’agenzia governativa designata.
I DUBBI DELLA DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA
Le preoccupazioni sollevate dalla grande distribuzione organizzata (GDO) che ho avuto modo di leggere recentemente– per lo più riferite ad un sistema di vuoto a rendere – non sono totalmente giustificate, in quanto le sfide poste dai due sistemi (un Drs volto al riciclo e uno al riuso degli imballaggi) non sono sempre sovrapponibili.
Va detto che sul fronte del cittadino i due sistemi possono convivere tranquillamente, come avviene in diversi paesi tra cui la Germania, perché la modalità di riconsegna dei contenitori è unica. Tuttavia, conoscendo le obiezioni già sollevate in altri paesi europei dalla GDO allorché si è prospettata l’introduzione di un sistema cauzionale, è presumibile pensare che possano coincidere con le preoccupazioni che può nutrire la nostra Distribuzione. La GDO teme principalmente di doversi sobbarcare dei costi relativi al dover attrezzare delle infrastruttura di raccolta nei loro spazi commerciali dedicati ove istallare ed operare i sistemi automatizzati di raccolta (in inglese reverse vending machine RVM), come prevede il modello di maggiore efficacia “return-to-retail” di un DRS.
In realtà l’opposizione iniziale della Distribuzione organizzata all’estero è sempre rientrata una volta realizzato che le spese da sostenere venivano ampiamente compensate dai vantaggi economici, diretti ed indiretti, oltre che ambientali, derivanti dal sistema di deposito.
Alla Grande Distribuzione viene infatti corrisposta dall’operatore del sistema di deposito, una commissione di gestione per ogni contenitore riscattato. Tale commissione indennizza la Distribuzione per quanto riguarda i costi complessivi della raccolta: da quelli relativi agli investimenti nell’infrastruttura per la raccolta, al personale impegnato nel riscatto manuale o automatico (pulizia e svuotamento delle RVM), ad altri costi provenienti dagli spazi commerciali adibiti alla consegna degli imballaggi come riscaldamento, connessione internet e elettricità.
Diversi studi internazionali hanno dimostrato che la distribuzione organizzata e i negozi dove i consumatori riportano gli imballaggi hanno tutti beneficiato di un aumento del traffico e delle vendite. Un’indagine sul comportamento dei consumatori fatta in Svezia, Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi ha evidenziato che i consumatori tendono a fare i propri acquisti dove c’è un’efficiente struttura di restituzione e che potendo utilizzare per i propri acquisti l’importo della cauzione riscattata spendono in media di più (dal 15% dei finlandesi al 52% degli olandesi) in quegli esercizi.
La commissione di gestione – che viene solitamente negoziata in seno all’operatore del sistema di cui la Grande Distribuzione deve essere parte attiva– ha senza ombra di dubbio un ruolo fondamentale per il corretto funzionamento di un sistema di deposito .
Federdistribuzione, in linea con la posizione espressa dal Conai in varie occasioni del passato in cui si accennava a questi sistemi, ha dichiarato recentemente ai media che l’Italia già raggiunge risultati di raccolta differenziata e avvio a riciclo tra i migliori in Europa, e che sarebbe sufficiente migliorare la raccolta differenziata nelle regioni più indietro su questo fronte, aumentando magari la presenza dei compattatori che fanno a capo al consorzio Coripet.
La soluzione proposta, oltre ad avere effetti collaterali come l’aumento dei costi di raccolta – che oggi sono prevalentemente a carico dei Comuni – non andrebbe comunque ad incidere sulle inefficienze o punti deboli del sistema attuale, che trovano invece nelle brillanti performance dei DRS una soluzione ottimale e definitiva. Mi riferisco in particolare al problema della dispersione nell’ambiente di imballaggi per bevande che sfuggono comunque alla raccolta differenziata e costi correlati, al problema dei rifiuti marini, al supporto fondamentale al modello di riciclo “bottle-to-bottle” (il DRD è l’unico sistema in grado di garantire un’altissima qualità dei materiali raccolti idonei al riciclo “food-grade”), .
Il tasso di raccolta medio nei Paesi con un sistema di deposito in Europa supera il 90%, con paesi che raggiungono picchi di intercettazione del 98% per le bottiglie in plastica e del 99% per le lattine in alluminio (Germania). Il tasso di raccolta degli imballaggi per bevande in PET in Italia non superava ancora, secondo addetti del settore, il 60% nel 2019 e parliamo di bottiglie non sempre adatte ad applicazioni “food-grade”.
L’Italia con i suoi oltre settemila chilometri di coste risulta tra i paesi che maggiormente contribuiscono al rilascio di rifiuti plastici nel Mediterraneo come emerge da più studi tra cui : The Mediterranean: Mare plasticum (Iucn). Addossare la responsabilità di questa situazione unicamente all’inciviltà del cittadino, come solitamente tenta di fare l’industria della plastica o delle bevande, non risolve il problema. In realtà sono i sistemi di gestione dei rifiuti che devono stare al passo con i tempi per prevenire o ridurre al minimo inefficienze ed effetti collaterali indesiderati, applicando ove possibile, misure efficaci come l’incentivazione economica.
Parlando di alti tassi di raccolta, come ho già accennato, c’è anche un motivo contingente che ha spinto diversi Paesi europei a stabilire un percorso per arrivare nei prossimi due o tre anni ad avere un cauzionamento per i contenitori per bevande monouso, ovvero la necessità per i Stati membri (Italia inclusa) di raggiungere senza difficoltà gli obiettivi della Direttiva Sup sulla raccolta selettiva delle plastiche monouso. E mi riferisco sia a quelli sul tasso di raccolta (90% entro il 2029 con l’obiettivo intermedio al 2025 del 77% per le bottiglie contenenti bevande), che di contenuto riciclato obbligatorio per le bottiglie in Pet (il 25% al 2025 e il 30% al 2029 sul peso totale immesso sul mercato).
Il sistema promosso dal neonato consorzio Coripet potrà sicuramente aumentare, attraverso il suo sistema di raccolta incentivante, di qualche punto percentuale l’attuale tasso di raccolta e riciclo del PET in Italia ma l’obiettivo del 90% di raccolta potrà essere raggiunto solo con l’aiuto di un DRS nazionale. Questo perché un incentivo di pochi centesimi, o altri buoni e benefit per le bottiglie restituite attraverso i compattatori , non è efficace quanto una cauzione che vale 15 centesimi ad imballaggio, e poi perché il sistema è volontario e non è diffuso capillarmente su base nazionale.
Articolo precedentemente pubblicato sul mio blog di polimerica.it