Il Deposito Cauzionale al centro del dibattito pubblico è un’ottima notizia, nonostante tutto

Non si può dire che il tema del deposito cauzionale e degli imballaggi, non sia entrato nell’attualità delle ultime settimane, arrivando per la prima volta su quotidiani mainstream, testate economiche e in qualche edizione dei TG.

Alcune immagini riferite al dietro le quinte del sistema slovacco.

L’articolo completo è stato precedentemente pubblicato su Polimerica.it
La pubblicazione del rapporto Target 90% e del correlato documento di posizionamento per una maggiore circolarità degli imballaggi per bevande, sottoscritto da un’ampia coalizione (produttori europei di bevande, fornitori di materiali e tecnologie per il packaging, riciclatori, ONG ed enti pubblici) è stato un evento importante sotto tutti i punti di vista.
Un fronte multi stakeholder della catena del valore del packaging, allineato su una serie di obiettivi comuni sul futuro del packaging per bevande, rappresenta una precondizione per lavorare insieme e raggiungere più speditamente tali obiettivi.
Questa convergenza di interessi e visione tra soggetti industriali, istituzioni e ONG nel sostenere concretamente una maggiore circolarità del packaging a livello europeo è, indubbiamente, un’ottima notizia. Sino a che punto però il dibattito europeo è allineato con quello nazionale? Non molto da quello che si è avuto modo di sentire da rappresentanti di Assobibe, Conai, Corepla, e Mineracqua lo scorso luglio durante un workshop organizzato in diretta streaming dall’allora parlamentare Aldo Penna. L’evento è stato la prima occasione pubblica in cui i referenti delle organizzazioni citate hanno espresso il proprio punto di vista e posizionamento rispetto all’introduzione di un Deposito Cauzionale in Italia. Con alcune minime sfumature i presidenti di Conai e Corepla si sono dichiarati contro, e così Assobibe nella persona del suo presidente. Sostanzialmente a favore di un DRS si è espresso invece il presidente di Mineracqua Fontana, purché gestito e finanziato dall’industria delle bevande e della GDO in un modello di “return to retail” . Qui gli interventi.

TANTO RUMORE PER NULLA?

Qualche settimana fa è trapelata una bozza della proposta di revisione della Direttiva UE sugli Imballaggi ed i Rifiuti da Imballaggio, Direttiva che secondo la proposta verrebbe trasformata in Regolamento (in sigla, PPWR, Packaging and Packaging Waste Regulation) che la Commissione europea si appresta a presentare a fine mese( era prevista per il luglio scorso) nell’ambito di un più ampio pacchetto sull’economia circolare. Il fatto che si tratti di un atto legislativo vincolante, che impedisce ai Paesi Membri i margini di manovra delle direttive, ha provocato un’accesa reazione da parte di Confindustria a cui si sono uniti altri soggetti come Federdistribuzione, il Conai, l’industria del packaging e delle diverse materie prime da imballaggio, e persino la Cisl. Anche il neo ministro all’Ambiente ha sposato immediatamente la causa dichiarando in più occasioni che l’Italia avrebbe detto no al Regolamento.

Secondo Stefan Pan, delegato di Confindustria per l’Europa in un’intervista al Sole 24 Ore dichiara che sarebbero oltre 700mila le aziende che rischiano di essere travolte dalla proposta di regolamento che ha “un’approccio ideologico e gela la strategia del riciclo degli imballaggi per puntare sul riutilizzo“. Un cambio di strategia che “colpisce il sistema Paese che proprio nell’industria del riciclo ha un primato europeo“.

Proprio per evitare prese di posizione da tifoseria da stadio vediamo quali sono le previsioni che hanno suscitato maggiore contrarietà contenute in un testo di quasi 200 pagine più annessi. Un testo troppo lungo e complicato per i non addetti ai lavori, che dubito pochi avranno letto con attenzione. Nel frattempo è trapelata ieri una seconda bozza della proposta di regolamento contro la quale si scaglia nuovamente il Sole 24Ore nell’articolo: Imballaggi, primo dietrofront europeo sui target di riuso. La Commissione Ue taglia al 20%la quota di packaging che dal 2030 dovrà essere riutilizzata. Nel confrontare i nuovi target di riuso per i vari imballaggi e settori, drasticamente ridimensionati rispetto alla prima versione di regolamento trapelata, la giornalista si dimentica il settore degli imballaggi per bevande, quello maggiormente al centro della protesta. Un settore che ha ora un target di riuso ridotto in modo importante: dal 20% al 10% ( al 2030) e dal 75% al 25% (2040).

Mentre a livello europeo sono gli obiettivi di riuso per i contenitori di bevande ad agitare le notti insonni dei produttori di bevande e del mondo del packaging (anche se le preoccupazioni non sempre coincidono) in Italia il pericolo da scongiurare sembra più essere il DRS, oltre al fatto che il regolamento non permette più recepimenti “creativi”. La proposta di regolamento PPWR prevede infatti all’articolo 61 una sua introduzione obbligatoria – inizialmente prevista al 2028 e ora slittata al 2029 – che interessa bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari, fino a 3 litri (con esclusione di latte e derivati, vino ed alcolici) e con la sola possibilità di esenzione da tale misura per i Paesi che mostrino di potere regolarmente conseguire il 90% di raccolta di tali contenitori.

Il Conai ha annunciato l’11 novembre scorso di avere mandato una nota alle istituzioni sulla proposta di Regolamento UE che sostanzialmente dice che per l’Italia il deposito cauzionale costituisce “una duplicazione inutile di costi economici ed ambientali: andrebbe ad affiancare, senza sostituirsi in tutto, alle raccolte differenziate tradizionali”. Infatti, spiega il Consorzio nella nota, esiste già “un circuito efficace di raccolta differenziata e valorizzazione degli imballaggi” e che distribuire capillarmente sul territorio nazionale circa 100.000 RVM (Reverse Vending Machine) comporta “ un investimento iniziale di circa 2,3 miliardi di euro a cui si dovrebbero aggiungere “un investimento compreso tra 500 milioni e 1 miliardo di euro”. per mettere su l’infrastruttura del sistema che avrebbe “un costo di gestione di circa 350 milioni di euro all’anno”.

Risposte a domande frequenti sui sistemi di deposito

Per semplificare e rendere comprensibile il dibattito, anche a chi non conosce i Sistemi Cauzionali per bevande proviamo ad usare lo strumento delle FAQ per rispondere alle principali obiezioni lette in questi giorni.

E’ vero che il regolamento è tutto orientato sul riuso come riportato nei comunicati stampa di diverse associazioni industriali e fatto proprio da ambienti governativi?

Accanto a degli obiettivi di riuso per contenitori di bevande ridotti al punto da non essere più così sfidanti per l’industria delle bevande, ci sono misure principalmente volte a consolidare proprio il riciclo creando un mercato per i materiali da riciclo. In particolare per la plastica che, secondo Plastics Europe, nel 2019 costituiva solamente il 5% della plastica contenuta negli imballaggi. Secondo l’associazione dell’industria del riciclaggio, EuRIC, le previsioni del regolamento con l’innalzamento dei target di contenuto riciclato dovrebbero anche far aumentare i tassi di raccolta e spingere le aziende a progettare prodotti in linea con i processi di riciclaggio, poiché, come ha dichiarato il segretario generale di EuRIC Emmanuel Katrakis a EURACTIV “è nel loro interesse farlo”.

Il DRS si è rivelato nella pratica dei paesi che l’hanno adottato in Europa lo strumento più potente che consente di massimizzare le intercettazioni degli imballaggi per bevande, di migliorarne la qualità, di riservare i volumi di riciclato per le applicazioni più “nobili” (da bottiglia a bottiglia, da lattina a lattina) e di raggiungere gli obiettivi di contenuto riciclato delle normative europee. Ma c’è di più: è la stessa estensione del DRS ai contenitori in plastica e metalli a smentire la lettura di uno strumento “inteso solo al riuso”, in quanto tali materiali sono vocati al riciclo, non al riuso.

E’ possibile raggiungere gli obiettivi di raccolta al 90% per le bottiglie in plastica ?
Negli ultimi mesi è capitato spesso di imbattersi in dichiarazioni dei consorzi EPR (es. Conai e Corepla nel caso specifico della plastica) secondo i quali “il sistema italiano sarebbe già un sistema di eccellenza in grado di conseguire gli obiettivi previsti nella Direttiva sulle plastiche monouso (90% di intercettazione delle bottiglie per liquidi alimentari) con una combinazione dei sistemi attuali di raccolta differenziata + raccolte selettive tramite gli eco-compattatori” che, ricordiamo, differiscono dal sistema di deposito cauzionale in quanto manca l’elemento fondamentale del deposito che determina il tasso di intercettazione , oltre ad un’altra serie di elementi qualificanti dei DRS ormai noti. Mentre le quantità di bottiglie che verranno raccolte con gli eco-compattatori possono avere caratteristiche conformi ai criteri stabiliti dalla direttiva SUP e concorrere al raggiungimento del target di raccolta del 90% al 2029, questo non è il caso dei rifiuti di bottiglie monouso attualmente raccolti insieme ad altre frazioni di rifiuti da imballaggio. Questo perché non possono essere considerati come raccolti separatamente ai sensi della Decisione della Commissione 2021/1752 che ha definito il metodo di calcolo da utilizzare per valutare il raggiungimento dell’obiettivo di raccolta per le bottiglie di plastica. In particolare perché non soddisfano le condizioni previste dall’art. 2, paragrafo 4, lettera b.

Da uno studio di Utilitalia emerge che solamente circa 1/3 dei rifiuti urbani prodotti sono raccolti con la modalità del Porta a Porta,PaP. Infatti il 51% degli italiani viene servito da una raccolta differenziata prevalentemente stradale, solo il 19% è servito esclusivamente dal PaP, mentre il 16% dispone di un servizio misto prevalentemente porta a porta e il 13% solo stradale.

Una situazione che non garantisce materia prima seconda pulita – priva di frazioni estranee e sostanze contaminanti – ma neanche previene perdite importanti di materiali all’uscita dei centri di selezione. Il tasso di raccolta del 77% e oltre, citato dai consorzi come raggiunto va considerato come un tasso al lordo di perdite e scarti, e quindi il gap da colmare non è così a portata di mano come viene venduto.

Lo studio di Assobibe aveva stimato, sulla base dei dati raccolti, che per perseguire gli obiettivi di intercettazione della SUP al 2029 per gli imballaggi per bevande con il sistema attuale, sarebbe stato necessario rendere prevalente il sistema di raccolta PaP/condominiale con un incremento dei costi gestionali complessivi pari a circa 2.088 M€/a. Lo stesso studio rilevava che “la quantità di materiale scartato dalla RD aumenta in misura maggiore rispetto al crescere della stessa“.
In conclusione: anche se dall’evidenza internazionale emerge che l’obiettivo del 90% di intercettazione per i contenitori di bevande non è mai stato conseguita in alcun Paese senza l’introduzione di un DRS – se i consorzi ritengono di potere conseguire tale obiettivo e di potere venire esentati da un DRS – [visto che la proposta di PPWR lo prevede] non si comprendono i motivi della loro critica.

E’ vero che implementare un DRS avrebbe costi proibitivi ?

Allo stato attuale non è possibile fare tale affermazione in quanto non sono ancora stati presentati studi completi e analitici sui costi benefici causati dall’introduzione di un DRS nazionale – come nel caso della Spagna – per citare uno studio recente. Sono usciti invece alcuni numeri diffusi dal Conai durante convegni e sui media senza che lo studio di riferimento sia stato messo a disposizione. E’ uscito un anno fa uno studio preliminare sul tema commissionato da Assobibe alla Fondazione Sviluppo sostenibile di 50 pagine circa che ha avuto senz’altro il merito di fare da apripista.

Da questo studio esce un dato molto diverso circa la quantità di RVM necessarie da installare in Italia secondo il Conai (100.000 RVM con un investimento di circa 2,3 miliardi di euro). Lo studio di Assobibe prende come riferimento la Germania, paese più simile all’Italia sia per dimensioni che per densità abitativa dove è stata posizionata una RVM ogni 2.073 abitanti. “Trasponendo questo valore per l’Italia significa che nel nostro Paese occorrerebbe installare orientativamente circa 29.000 macchine. Pensando di posizionare una macchina presso ogni esercizio della grande distribuzione nel settore alimentare arriveremmo così a stimare un fabbisogno di 25.534 RVM.” In Germania vi sono tra le 35.000 e le 37.000 RVM (molti supermercati ed ipermercati ne hanno due), mentre i punti di raccolta sono 130.000 tra punti di raccolta manuali e automatizzati.

Detto questo, nei DRS esistenti in Europa l’acquisto delle RVM è stato prevalentemente a carico della GDO, che ne ha pianificato l’acquisto con la certezza di ritornare in tempi relativamente brevi dell’investimento, e a più livelli. Attraverso le compensazioni previste dall’operatore del sistema per ogni imballaggio gestito a coprire tutte e spese sostenute: dalla commissione di gestione o handling fee e con l’aumento dei passaggi e degli acquisti da parte dei clienti. D’altronde quanti investimenti fa l’industria e il retail in marketing e pubblicità, senza avere certezza di un ritorno economico come invece avviene in questo caso ?

Sono stati forniti numeri attendibili e verificabili sui costi e benefici di un DRS nazionale da considerare per successivi studi ?

Come già anticipato i numeri forniti dal Conai ai media, inclusa l’affermazione che un DRS costerebbe 10 volte l’attuale sistema (integrabile o meno con eco-compattatori) non sono verificabili e si basano su scenari non perseguibili nella realtà. In particolare sull’evenienza, remota, di un DRS implementabile per le sole bottiglie di plastica e sull’assunto che le bottiglie raccolte con il sistema misto vengano accettate nel computo del raggiungimento del target del 90% delle bottiglie già menzionato.

Tra i numeri e i dati diffusi manca, ad esempio una simulazione completa su quale potrebbe essere un bilancio completo di un DRS nazionale come entrate e uscite. Alcuni dei numeri diffusi sulle singole voci di costo all’interno di tabelle, non significano nulla quando scorporati dal contesto. E’ questo il caso dei costi delle misure antifrode o dell’ammontare dei depositi non riscossi [che è una delle voci di finanziamento del sistema insieme al contributo EPR versato dalle aziende che immettono imballaggi e dalla vendita dei materiali ] che è stato stimato per presentarlo in una luce “truffaldina”. Un bilancio aziendale così come una valutazione sulla validità e correttezza dell’operato di un’azienda (o ente no profit) non viene determinato da quanto costa complessivamente o analiticamente, ma dai risultati e servizi che fornisce alla società e ai suoi stakeholder, interni ed esterni senza gravare sui consumatori. Avere delle voci di costo senza indicare chi sono i soggetti ai quali vanno attribuite, oppure citare l’entità di investimenti senza precisare entro quali tempistiche avviene il ROI, non contribuisce ad un dibattito razionale, equilibrato, e soprattutto produttivo.

Ma soprattutto vengono portati numeri che difficilmente possono fornire indizi sulla base dei quali dedurre che un DRS rappresenti “un rischio economico che si ripercuote sui consumatori” o che non sia un sistema trasparente. Né tantomeno che non stia in piedi economicamente, o che non sia win win per tutti gli stakeholder (Comuni, GDO, Produttori di bevande e operatori impegnati nelle operazioni di avvio a riciclo tutti). Questo perché l’evidenza sui risultati conseguiti dai sistemi europei suggerisce ben altro e un DRS per il nostro paese va costruito insieme a tutti gli stakeholders senza fare prevalere pregiudizi, interessi di parte. Stupisce nel nostro paese la diffidenza verso un DRS dimostrata soprattutto da parte dell’industria delle bevande e dalla GDO, che sono proprio i soggetti che andrebbero ad organizzare, finanziare e gestire un DRS attraverso un ente non profit sul modello di gestione centralizzato dei paesi europei.

L’Italia è davvero un unicum che non ha bisogno di DRS?

I vantaggi di ordine economico e ambientale di cui l’Italia potrebbe beneficiare guardando alle esperienze di successo europee, sono ormai noti e la prima parte di questo articolo ha fornito dei numeri che parlano da soli. Chi afferma che l’Italia è un unicum si schiera dalla parte di chi non vuole abbandonate lo status quo.
Ma lo scenario andrà a cambiare dal 2024 perché lo richiederà il passaggio obbligatorio dal sistema di responsabilità condivisa del produttore attuale, a quella estesa che richiede ai produttori la copertura del 100% (o 80% in deroga) dei costi della RD e della rimozione del littering per gli imballaggi in plastica, tra gli altri adempimenti. Scenario che porterà il Conai a dover raddoppiare molto probabilmente i corrispettivi che ricevono i Comuni regolati dall’accordo Anci Conai, e aumentare pertanto il CAC che pagano le aziende utilizzatrici di imballaggi.

Una delle ragioni questa che rende le stime diffuse da Conai poco rilevanti perché basate sul presente e non sullo scenario dei prossimi anni.

L’attuale sistema di responsabilità condivisa del produttore è infatti quello che si è dimostrato meno costoso per le aziende utilizzatrici di packaging a parità di efficienza e tassi di riciclo tra i Producer System Organizer europei (PRO) presi in esame da uno studio commissionato dal Conai alla Bocconi.

Al risultato concorre il contributo EPR (CAC) più basso per ton pagato in Italia dalle aziende che immettono imballaggi al consumo e il fatto che i Comuni finanziano per la maggiore quota la raccolta differenziata e i costi dovuti per la rimozione del littering. (1)

Il Sistema partito in Slovacchia va a gonfie vele

Un parere informato su uno dei sistemi cauzionali lanciati quest’anno, e che sta andando a gonfie vele, è arrivato da Alessandro Pasquale, produttore di acque minerali intervenuto al workshop citato in apertura. Nel sistema slovacco alla cui implementazione ha partecipato il manager, le aziende hanno investito 500.000 euro e il resto è stato finanziato dalle banche. Il DRS slovacco, come si può leggere sui media locali, a pochi mesi di distanza sta andando benissimo con un’ottima liquidità, livelli di intercettazione dell’80% per alcuni tipi di imballaggio dopo neanche un anno , e tutto il raccolto va ai produttori di bevande che partecipano al sistema per realizzare nuove bottiglie e lattine. Nel regolamento viene stabilito che la materia prima seconda (il rPET) non venga commercializzato verso terzi, per evitare che il prezzo di vendita rimanga più basso del PET vergine e ne venga incentivato l’utilizzo al posto del polimero vergine.

Noi invece stiamo investendo soldi pubblici per comprare eco-compattatori nel tentativo di raggiungere il 90% di intercettazione e sprecando ogni anno sette miliardi di contenitori per bevande che sfuggono al riciclo ogni anno. Una perdita di risorse preziose che potrebbero alimentare la nostra economia e giovare ai bilanci comunali. Come se non bastasse, mentre l’industria è riuscita a schivare la Plastic Tax italiana, come cittadini italiani ci troveremo a pagare la Plastic Tax europea. Ogni stato membro è tenuto a versare 800 euro per ogni tonnellata di rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati. L’anno scorso, secondo quanto emerge dal Bilancio europeo, il nostro paese ha versato nelle casse UE 744 milioni di euro pagati dalla fiscalità generale. Anche le tonnellate di bottiglie in PET non raccolte hanno un peso nel determinarne l’importo. Forse dovremmo cominciare a quantificare quanto ci costa la mancanza di un sistema cauzionale.

Fonte Polimerica.it

Aggiornamento 30 novembre :

Presentata oggi la proposta di regolamento nella Conferenza stampa di Frans TIMMERMANS, Vicepresidente esecutivo della Commissione europea e Commissario per il Green Deal, e di Virginijus SINKEVIČIUS, Commissario europeo per l’Ambiente, gli Oceani e la Pesca.
Timmermans si è espresso per una parte del suo intervento in italiano a rispondere alle critiche arrivate soprattutto dall’Italia.
👉 Qui la registrazione con traduzione simultanea : https://bit.ly/3EMApEh

Il comunicato stampa con i link per scaricare il regolamento e i documenti correlati: GreenDeal europeo: porre fine allo spreco di imballaggi, incentivare il riutilizzo e il riciclo

(1) EPR imballaggi: la “copertura” dei costi

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