Dal vuoto a rendere delle bottiglie in vetro ai sistemi di deposito cauzionale per contenitori di bevande monouso

Nella storia dei sistemi di deposito cauzionale si possono individuare tre fasi storiche che, dall’800 ai giorni nostri, ne hanno caratterizzato l’evoluzione: dai primi modelli di restituzione dei contenitori di bevande e altri alimenti liquidi di proprietà dei produttori, sino ad arrivare alla nascita e diffusione dei modelli di maggiore successo attuali per contenitori monouso, in Europa e non solo.

La prima fase è quella in cui fanno la loro apparizione i primi casi di applicazione del deposito finalizzati alla restituzione dei contenitori per una loro successiva ricarica/riuso su iniziativa volontaria da parte dei produttori; la seconda fase coincide con il momento in cui i sistemi di deposito vengono introdotti per legge per far fronte al problema della dispersione degli imballaggi monouso nell’ambiente; e infine si arriva alla terza fase, quella attuale, in cui i sistemi di deposito per contenitori monouso vengono introdotti per legge dai Paesi Membri che ne sono sprovvisti per raggiungere gli obiettivi europei di raccolta e contenuto riciclato della Direttiva SUP al 2029. Ma non solamente in quanto il prossimo Regolamento UE (PPWR- Packaging and Packaging Waste Regulation) impone l’adozione di un sistema cauzionale per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari nei Paesi Membri che non arrivano a raccogliere il 90% di tali contenitori, tipicamente i Paesi membri senza un DRS in vigore.

La prima fase: i sistemi di deposito “volontari” per il recupero dei beni di valore

Nel settecento birra, latte e altri liquidi alimentari venivano venduti in contenitori di vetro o ceramica, oggetti costosi di proprietà dei produttori, considerati come beni aziendali da salvaguardare. All’epoca esisteva una tacita intesa tra commerciante e consumatore sul fatto che i contenitori dovessero essere restituiti (vuoto a rendere) e la restituzione avveniva come un atto di cortesia/buona volontà senza necessità di un incentivo finanziario.

Nel Regno Unito, ad esempio, il sistema “Rinse and return ” per le bottiglie di latte a domicilio permetteva alle latterie di riutilizzare le bottiglie di vetro fino a 40 volte.

Negli anni successivi i tassi di restituzione dei contenitori scesero al punto che i produttori dovettero correre ai ripari. Ad esempio nel 1803, i produttori di bevande analcoliche del Regno Unito iniziarono ad offrire un compenso in denaro per i contenitori di bevande restituiti. Si dovette tuttavia aspettare il secolo dopo prima che un produttore, per la prima volta, facesse pagare in anticipo un deposito aggiungendolo al prezzo della bevande per assicurarne il ritorno. Negli Stati Uniti, invece, nonostante alcuni produttori applicassero già un deposito ai contenitori negli anni ’70 e ’80 del XIX secolo, i sistemi di deposito cauzionale per le bottiglie diventarono prassi comune solamente a partire dalla metà degli anni ’20 del secolo dopo.

L’invasione degli imballaggi monouso e il declino dei contenitori riutilizzabili

Negli anni Settanta furono introdotte per la prima volta le bottiglie di plastica per le bevande analcoliche e nel 1973 furono brevettate le bottiglie in PET (polietilene tereftalato), oggi il tipo di materiale più comune per i contenitori di bevande gassate. La popolarità delle bottiglie in PET e delle lattine in alluminio, crebbe subito velocemente andando a cambiare la concezione di bene aziendale che i produttori avevano degli imballaggi riutilizzabili. Inevitabilmente l’appeal esercitato da questi nuovi materiali e contenitori più leggeri e facili da maneggiare si è rivelato irresistibile per i produttori di bevande. E in particolare i vantaggi economici che le opzioni monouso permettevano non dovendo più investire in beni di cui doversi occupare lungo tutto il loro ciclo di vita.

Sono stati poi i grandi risparmi realizzati dall’industria nel passaggio dalle bottiglie ricaricabili alle bottiglie e lattine monouso, a provocare il lento ma continuo declino dei sistemi di vuoto a rendere nelle decadi seguenti. Tali risparmi derivavano dalla dismissione delle infrastrutture territoriali di magazzinaggio, lavaggio, e di tutta la logistica finalizzata alla raccolta e ricarica delle bottiglie che, inevitabilmente, comportava anche perdite finanziarie dovute a rotture accidentali delle bottiglie stesse.

Guerra tra contenitori
Una curiosità raccontata nel volume A History of Non-Returnable Beer Bottles è che l’avvento della bottiglia di birra a perdere sia stata in realtà una risposta alla concorrenza dell’industria delle lattine.
Infatti la progettazione delle prime bottiglie ha replicato quelle caratteristiche che erano i vantaggi percepiti dai consumatori che sceglievano la lattina. In prima battuta per potere competere con le lattine agli occhi di rivenditori e consumatori era necessario sbarazzarsi del sistema di deposito e di restituzione dei vuoti. Per i produttori di bevande sempre attenti ai costi il passaggio alle bottiglie di vetro a perdere fu agevolato anche dal fatto che le bottiglie monouso, una volta diffusesi, diventarono più economiche delle bottiglie riutilizzabili e delle lattine.
Allo stesso tempo la riduzione dei formati piacque sia ai birrifici per la migliore ottimizzazione degli spazi permessa nei trasporti che ai consumatori che potevano tenerne nel frigorifero di casa più bottiglie.

Da risparmio per l’industria ad onere per il pubblico

Ma se da un lato i costi di esercizio per l’industria delle bevande diminuivano man mano che utilizzavano maggiori quote di contenitori monouso, dall’altro aumentava esponenzialmente questo flusso di rifiuti a discapito delle municipalità, e quindi delle collettività, sia dal punto di vista operativo che finanziario.

Dal momento in cui le municipalità cominciarono non riuscire a gestire le quantità sempre maggiori di contenitori monouso, i governi in diversi stati dovettero trovare una soluzione coinvolgendo anche l’industria responsabile della situazione. Fu così che vennero avviati programmi di raccolta differenziata domiciliare con l’obiettivo di raccogliere separatamente dai rifiuti domestici, quei materiali che, avendo un valore di mercato, potevano essere venduti dai Comuni ricavandone delle entrate.

Recycling as a family affair at the Arcata Community Recycling Center (ACRC), circa 1980s. Photo from the ACRC Facebook page.

Il primo programma di raccolta differenziata nacque nell’Ontario (Canada) nel 1986 grazie ad un accordo con l’associazione dei produttori di di bevande analcoliche (Ontario Soft Drink Association) che finanziò il programma conosciuto con il nome “Blue Box ” con 1 milione di dollari. Nei 10 anni successivi (1986-1996) l’industria contribuì al programma per un totale di 41 milioni di dollari, mentre i contribuenti coprirono i costi rimanenti, pari a 2,33 milioni di dollari che includevano il conferimento in discarica.  

Le sfide della raccolta differenziata

Con il sostegno finanziario da parte dell’industria nell’avvio dei programmi di raccolta differenziata domiciliare vengono create nei territori infrastrutture per l’avvio a riciclo e/o acquistati mezzi meccanici sino a che, con il passare del tempo, molti programmi di raccolta differenziata diventano obbligatori per legge. Fu a questo punto che i Comuni si accorsero che la raccolta differenziata non era sempre redditizia o più conveniente dello smaltimento, anzi, poteva addirittura essere più costosa.

Infatti non solamente si trovarono a dover fare i conti con il mercato (tra volatilità dei prezzi dei materiali, flessioni nella domanda, etc) ma anche con la trasformazione dei flussi di rifiuti delle raccolte che, nel tempo erano arrivate a contenere prevalentemente plastica, e ben più di quanto ne potessero gestire.

La seconda fase: affrontare il problema dei rifiuti dispersi e lo spreco dei materiali

Nel 1970 il 60% della quota di mercato della birra era rappresentata da lattine e bottiglie monouso. Nello stesso arco di tempo i contenitori monouso complessivamente erano passati dal coprire la quota del 5% del 1960 a rappresentare il 47% del mercato delle bevande analcoliche dieci anni dopo.

Tornando ai sistemi di deposito cauzionale è sempre in Canada che nel 1970 viene implementato il primo DRS obbligatorio per bevande sulla base di una legislazione (Litter Act) che ha l’obiettivo di ridurre gli oneri sostenuti dai Comuni per la gestione del fine vita degli imballaggi per bevande tar bottiglie e lattine. Questo sistema viene poi sostituito nel 1997 dal Beverage Container Stewardship Program Regulation, considerato “il migliore della categoria” grazie ai suoi alti tassi di raccolta e recupero e dai successivi aggiornamenti lesilativi. Da quando la Colombia britannica ha fatto da apripista oltre 50 anni fa, seguita da Alberta e dal Quebec, sono attualmente 11 su 13 le province e i territori canadesi ad avere adottato sistemi cauzionali.

E’ stato invece l’Oregon il primo Stato americano ad approvare un DRS o “Bottle Bill” nel 1971. Altri Stati hanno seguito, migliorando le prime leggi e imparando dagli errori. Nel 2022 New York ha aggiornato dopo 40 anni il sistema cauzionale aumentando l’importo del deposito e le tipologie di bevande incluse nel sistema. Attualmente sono dieci gli Stati degli USA (oltre un quarto della popolazione statunitense) ad avere in vigore un sistema cauzionale.

Il primo territorio australiano a implementare un sistema di restituzione dei depositi è stato il South Australia nel 1977. Nel 2012 è stata la volta del Territorio del Nord e dal 2017 altri quattro Stati/territori australiani hanno implementato un sistema di deposito cauzionale.

In Europa, il primo sistema di deposito fa introdotto nel 1984 in Svezia per lattine di birra e ora sono 13 i DRS attivi .

Una breve panoramica internazionale dei sistemi di deposito attivi al momento in 50 giurisdizioni. si trova nella pubblicazione Global Deposit Book 2022.

La terza fase: I sistemi di deposito per raggiungere gli obiettivi di contenuti minimi di materiale riciclato

Mentre i primi sistemi di deposito cauzionale per il riuso (il vuoto a rendere) sono stati introdotti dall’industria su base volontaria e per ragioni economiche; i primi sistemi di deposito cauzionale per contenitori monouso sono stati introdotti obbligatoriamente dai governi per rispondere al problema delle quantità crescenti di rifiuti in plastica, del littering e ridurre i costi di gestione per le municipalità.

Attualmente si registra un rinnovato interesse nei confronti dei sistemi di deposito cauzionale anche da parte dell’industria che deve rispondere agli obiettivi europei vincolanti di contenuto minimo di materiale riciclato per i contenitori di bevande.

L’urgenza è particolarmente sentita in Europa dal momento che la direttiva sulle plastiche monouso (SUP), è stata la prima legislazione al mondo a prescrivere obblighi di contenuto minimo riciclato per le bottiglie per bevande in PET immesse sul mercato (25% entro il 2025 e il 30% entro il 2030), nonché di raccogliere separatamente il 90% delle bottiglie in PET immesse sul mercato entro il 2029.

Lo scorso 30 novembre 2022 la Commissione Europea ha presentato la sua proposta di “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio” (Packaging and Packaging Waste Regulation, PPWR).

La previsione di un sistema cauzionale è contenuta nell’articolo 44 della proposta, che ne stabilisce l’introduzione obbligatoria entro il 2029 per bottiglie in plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari fino a 3 litri (con l’esclusione di contenitori per latte e derivati, vino ed alcolici). Vengono esentati solamente quei Paesi che possono dimostrare di raggiungere tale obiettivi di intercettazione in modo non episodico nei due anni che precedono l’avvio del DRS (2026).

I sistemi di deposito cauzionale hanno una comprovata capacità di raggiungere tassi di raccolta che, in Europa superano il 90% come si può vedere dalle seguenti tabelle. Per quanto concerne le bottiglie in PET l’intercettazione media nei paesi con un DRS supera il 94% contro il 47% dei paesi con programmi di raccolta differenziata. Performance di raccolta che automaticamente permettono una drastica dispersione degli imballaggi nell’ambiente e un riciclaggio di alta qualità, proveniente da un ciclo chiuso bottle-to-bottle.

In conclusione se per spingere i produttori di bevande ad abbracciare un sistema cauzionale è importante l’aspetto reputazionale e la pressione esercitata dall’opinione pubblica generalmente favorevole ai DRS , in questo momento è l’accesso al materiale riciclato a giocare un ruolo più rilevante. Con l’introduzione dei requisiti minimi di contenuto riciclato da parte dei governi, i produttori si rendono conto che giova loro sostenere i sistemi di deposito per il contributo che i DRS offrono nel raggiungimento degli obblighi legislativi e nell’avere accesso ai propri materiali, invece di doverli cercare nel mercato e approvvigionarsene a costi proibitivi. Ecco perché sempre più produttori e associazioni di rappresentanza del settore delle bevande sono a sollecitare in sede europea l’attuazione di legislazioni armonizzate e mirate a creare un “level playing field” che spinga tutta l’industria a rispondere collettivamente a questa necessità di ordine ambientale ed economico.

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