Chi ha paura dei DRS – Deposit Refund Systems?

Una resa dei conti si profila all’orizzonte tra coloro che sostengono il riciclo e coloro che propugnano il riutilizzo, ma siamo sicuri che sia questa la sfida? E non invece cambiare il comportamento del consumatore e del cittadino?

di Fabio Iraldo

L’emanazione della proposta di Regolamento UE sulla revisione della Direttiva Imballaggi (COM 677 del 30 novembre 2022) ha innescato un dibattito dai toni molto aspri sul (presunto) conflitto tra riutilizzo, da un lato, e riciclo, dall’altro. Il principale “casus belli” è quello che chiama in causa i modelli di deposito cauzionale (DRS – Deposit Refund o Return Systems) come elemento centrale che, nella visione di alcuni, agevolerebbe il riutilizzo, rallentando o addirittura bloccando il processo evolutivo delle pratiche di riciclo, in alcuni contesti come l’Italia decisamente sviluppate.
Si tratta di una contrapposizione manichea, figlia di un approccio errato nella lettura del testo e della realtà. Innanzitutto perché un DRS non è finalizzato esclusivamente all’una o all’altra priorità della “gerarchia dei rifiuti”, ma si propone più semplicemente di coinvolgere il consumatore nel processo di raccolta, facendo leva su un efficace sistema di incentivi. In breve, il cardine di un DRS è rappresentato dal criterio di far pagare un “deposito cauzionale” al consumatore, offrendogli la scelta se restituire l’imballaggio vuoto presso un punto di raccolta o se smaltirlo nella raccolta differenziata, rinunciando alla cauzione.

Attuazione del principio europeo “polluters pay

Con l’imballaggio vuoto si “getta via” quindi anche un valore in denaro. Ovviamente il consumatore potrebbe anche decidere di “abbandonare” il vuoto poiché considera trascurabile l’importo economico che gli verrebbe restituito, ma in questo caso potrebbe esserci qualche altro cittadino interessato ad incassare la cauzione, che potrebbe raccogliere il rifiuto per restituirlo ed incassarla (come nel famoso caso degli homeless in alcune metropoli statunitensi).

Dalla presunta conflittualità alla reale sinergia
L’associazione tra attuazione del DRS e (esclusiva) finalità del riutilizzo è una rappresentazione utile soltanto a chi vuole creare polemica e conflittualità tra obiettivi che invece potrebbero essere sinergici; mentre si dovrebbe valutare in modo più lungimirante quali siano i settori che potrebbero beneficiare dell’attuazione di un DRS in ottica sia di potenziare il riciclo, sia di colmare le eventuali sue lacune in segmenti settoriali e di mercato specifici che, per proprie caratteristiche, potrebbero beneficiare del riutilizzo.
Vediamo allora come funziona un DRS e perché potrebbe essere utile ad entrambe le prospettive. E’ proprio grazie a questo sistema di “coinvolgimento del consumatore”, infatti, che molto Paesi UE sono arrivati a tassi di raccolta e riciclo prossimi al 90%. Vi sono casi affermati da lungo tempo, come la Norvegia e la Germania, dove il tasso di raccolta è rispettivamente dell’86% (in media) e del 98%, e altri più recenti, come ad esempio la Croazia, che ha implementato il sistema nel 2014 e ad oggi raccoglie il 93,6% delle bottiglie e delle lattine. Il tasso di riciclo degli imballaggi raccolti è sempre prossimo al 99% perché il DRS ha il pregio di creare un sorting preliminare (ovvero una cernita a monte operata dallo stesso consumatore) molto efficace degli imballaggi conferiti, creando le premesse per un riciclo di elevata qualità (es.: percorsi di circolarità “chiusi”: bottiglia-vs-bottiglia o lattina-vs-lattina).

Quasi tutti i Paesi UE hanno previsto l’implementazione di un DRS
E’ vero che praticamente tutti i Paesi UE, con l’eccezione dell’Italia, hanno messo in atto un DRS o stanno per attivarlo. Certo, va sottolineato che i modelli sono molto diversi tra di loro: si va da sistemi che fanno ancora un certo uso di raccolta manuale fino, all’estremo opposto, a sistemi fortemente incentrati sull’uso di RVM (Reverse Vending Machines) che possono raccogliere in modo automatico gli imballaggi e restituire la cauzione al consumatore senza che vi sia alcun intervento diretto di un operatore al momento della raccolta. Ci sono casi, come quello spagnolo, dove il modello applicato non è neppure un vero e proprio DRS ma, piuttosto, un RRS (Reward Recycling System), ovvero un sistema che usa macchine RVM e incentiva i consumatori tramite buoni sconto da usare nei supermercati ma non applica un deposito cauzionale.


Quale che sia il sistema scelto, è solo nel momento in cui l’imballaggio vuoto torna nelle mani del gestore del sistema che si sceglie quale destinazione dare a questo imballaggio: riutilizzo o riciclo. La scelta dipende da molti fattori diversi. Senza dubbio in alcuni casi, come per le bottiglie di vetro, è possibile il riutilizzo per un certo numero di volte, mentre in altri casi, come le lattine di alluminio o la maggior parte delle bottiglie in PET, pare più efficace ed efficiente il riciclo (sebbene questa non sia l’unica strada percorribile).
L’uso delle RVM costituisce una tendenza che va decisamente consolidandosi negli ultimi anni. La rapidità e immediatezza del processo di “ritiro” del vuoto, la garanzia certa e verificabile della restituzione del deposito cauzionale nonché la tracciabilità dell’imballaggio nel quadro dello schema EPR in cui si colloca, sono elementi che stanno alla base del successo di molti DRS e, naturalmente, l’azione di questi fattori è molto più agevolata quando vi sono sistemi automatici, come le macchine RVM. La tecnologia degli RVM si è oggi molto evoluta e oggi sono possibili macchine che trattano diversi tipi di imballaggio contemporaneamente, sia comprimendoli che lasciandoli intatti, a seconda che la destinazione sia il riciclo diretto o il riutilizzo. Questo sistema offre anche la certezza che il percorso di restituzione degli imballaggi non si venga a sovrapporre in modo critico con gli spazi di stoccaggio della distribuzione o della rete HORECA.
Per le bottiglie di vetro vi è un’ulteriore agevolazione: quando una bottiglia viene riportata integra nella punto di raccolta con RVM (oggi la tecnologia consente di raccogliere le bottiglie intere), è possibile attivare la filiera della “reverse logistic” perché si tratta di un prodotto e non di un rifiuto. Nel quadro della gerarchia dei rifiuti l’imballaggio riutilizzabile è infatti ancora nell’ambito della “prevenzione” e non della trasformazione. Non è quindi necessario attivare un sistema specifico di raccolta dei rifiuti, con le relative autorizzazioni.
Ma è importante comprendere che, prima o poi, anche la bottiglia di vetro più volte riutilizzata finirà per essere trattata come rottame, quindi diverrà rifiuto in quanto non più riutilizzabile e dovrà essere riciclata… si tratta solo si attendere alcuni cicli di riutilizzo. Il riciclo quindi non può e non deve essere eliminato.

Quanto costa davvero l’implementazione di un DRS?
Spesso i produttori temono gli elevati costi che richiederebbe l’implementazione di un DRS a livello nazionale. Circolano stime che si attestano sull’ordine di grandezza di diverse centinaia di milioni. Senz’altro la conformazione territoriale del nostro Paese comporta difficoltà logistiche e geografiche notevoli, ma l’esperienza di Paesi (ovviamente più piccoli) come la Danimarca, la Croazia, l’Olanda o perfino la Svezia (che invece presenta una conformazione ancora peggiore sotto questo profilo dell’Italia), dove il DRS locale è stato implementato ancora prima che venisse reso obbligatorio uno Schema EPR, dimostrano che le cifre in ballo sono decisamente meno roboanti (1). L’investimento iniziale richiede senz’altro la mobilitazione di alcune decine di milioni di euro (20 – 30), poi il sistema alimenta la sua espansione tramite il reinvestimento degli utili basati sui depositi non riscossi, sulla monetizzazione del valore degli imballaggi riutilizzati o sulla vendita della materia riciclata.
Naturalmente si tratta di un sistema che richiede alcuni anni per andare a regime. Affinché possa diventare davvero capillare e portare i tassi di raccolta tra il 90 e il 95%, le esperienze ad oggi realizzate dimostrano che occorre almeno un decennio.(2) Dopo questo periodo di rodaggio e crescita, il sistema diventa capace di muovere investimenti e fatturati molto ampi, tali da ridurre anche in modo significativo i costi di gestione dei comuni e offrendo loro un importante incentivo al miglioramento dalla raccolta dei rifiuti.

La normativa da aggiornare in Italia
Nell’applicazione di un modello di DRS in Italia ci sono però alcuni importanti vincoli normativi. Un DRS deve configurarsi necessariamente come un “Sistema Autonomo” di raccolta ai sensi dell’art. 221 del TUA (rivisto anche con questo scopo con il DL 116/2020). Deve quindi essere uno Schema EPR a tutti gli effetti, rispettandone quindi tutte le procedure di attivazione, descritte peraltro in dettaglio nello stesso articolo. In altri termini, un DRS in Italia, affinché possa essere realizzato, deve essere autorizzato dal MASE, seguire l’iter procedurale previsto e definire il proprio rapporto con il CONAI, identificando con precisione gli imballaggi che passano sotto la sua gestione. Anche per questo motivo è essenziale che il DRS riservi una grande attenzione al sistema di tracciabilità degli imballaggi trattati.
Quindi il processo di implementazione dei DRS in Italia sarebbe senz’altro più complesso rispetto ad altri Paesi, e dovrebbe misurarsi con la necessità di valorizzare il grande patrimonio di esperienza dei consorzi di filiera. Ma facendo leva sull’efficienza e l’efficacia dei nostri sistemi, coinvolgendo i consorzi attivamente in questa riforma, perché non considerarne le potenzialità?

(1) Nel sistema slovacco, le aziende hanno investito 500.000 euro e il resto è stato finanziato dalle banche. Il DRS slovacco, come si può leggere sui media locali, a pochi mesi di distanza sta andando benissimo con un’ottima liquidità, livelli di intercettazione dell’80% dopo neanche un anno , e tutto il raccolto va ai produttori di bevande per realizzare nuove bottiglie e lattine.

(2) Ndr. Nel caso degli ultimi DRS entrati in vigore a partire dal caso della Lituania del 2016 ( vedi figura) si è verificata un’accelerazione nel conseguimento dei target di intercettazione che solitamente vengono determinati dalla legislazione che sta alla base dell’implementazione di un DRS. Anche nel recente caso della Slovacchia dove un DRS è entrato in vigore lo scorso aprile 2022 è probabile che si raggiunga il 90% di intercettazione entro la fine del 2023. A giocare un ruolo rispetto al raggiungimento degli obiettivi di raccolta concorrono diversi fattori che vanno considerati nella progettazione del sistema e della sua infrastruttura tra i quali: valore del deposito sufficientemente calibrato onde stimolare la restituzione , punti di raccolta dei vuoti e recupero del deposito facilmente accessibili e capillarmente diffusi in un modello “return to retail”, trasparenza e monitoraggio puntuale e costante dei dati di raccolta in modo da poter intervenire tempestivamente per correggere eventuali incidenti di percorso ecc.

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