Plastic Radar: l’investigazione condivisa di Greenpeace sul littering

L’iniziativa Plastic Radar, promossa da Greenpeace nel 2018, 2019 e 2021, ha coinvolto diverse migliaia di partecipanti permettendo di mappare i più comuni rifiuti di plastica abbandonati nelle zone costiere come spiagge, mari e fondali. Delle quasi 6800 segnalazioni ricevute, il 91% ha riguardato rifiuti in plastica usa e getta.  

Plastic Radar l’iniziativa di Greenpeace che si tenuta in tre edizioni estive (dal 2018 al 2021), ha impegnato complessivamente diverse migliaia di partecipanti nella segnalazione dei rifiuti in plastica riscontrati in luoghi di vacanze come spiagge, mari e fondali, fiumi e laghi, che hanno risposto positivamente alla richiesta di collaborazione lanciata da parte dell’Ong.

Plastic Radar è stato il primo progetto di investigazione condivisa (crowdsourced investigation) di Greenpeace Italia realizzato grazie alle informazioni e ai dati inviati dai partecipanti che hanno preso parte ad un’azione di sensibilizzazione ambientale e di contrasto all’inquinamento da plastica.

L’iniziativa richiedeva ai partecipanti di inviare una foto del rifiuto disperso ad un numero dedicato di WhatsApp insieme alle coordinate geografiche del ritrovamento. Affinché la segnalazione fosse valida, l’oggetto fotografato doveva essere facilmente riconoscibile così come il marchio o il nome dell’azienda produttrice ben visibile come viene spiegato nel video.

Le segnalazioni sono state rese disponibili quasi in tempo reale su un sito web, grazie a un sistema di data visualization.

Grazie alle immagini acquisite, Greenpeace ha potuto trarre una serie di informazioni di natura statistica, riguardanti le categorie merceologiche di appartenenza degli imballaggi o altri rifiuti, i materiali e polimeri con cui erano realizzati, se monouso (o meno) e i luoghi in cui sono stati ritrovati.

Nove su dieci rifiuti sono oggetti in plastica monouso

Delle quasi 6800 segnalazioni valide ricevute riportate nel report riferito alla prima edizione, il 91% ha riguardato rifiuti in plastica usa e getta, ovvero oggetti progettati per un utilizzo che va da pochi secondi ad alcuni minuti, e in gran parte rappresentati da bottiglie di bevande (25%). A seguire, nell’ordine, confezioni per alimenti (9%), sacchetti di plastica (4%), bicchieri, flaconi di detersivi, tappi e reti (tutti al 3%), contenitori industriali, flaconi di saponi e contenitori in polistirolo (tutti al 2%).

Per quel che riguarda le reti da pesca, la maggior parte è stata segnalata dalle coste del Mar Adriatico e del Mar Ionio (rispettivamente 62% e 18%). Ad essere rilevata è, in particolare, la presenza di reti tubolari utilizzate per l’allevamento dei mitili (cozze) che da alcuni anni hanno rimpiazzato le tradizionali strutture in canapa.

La maggior parte dei rifiuti in plastica per i quali è stato possibile risalire alla tipologia di polimero di appartenenza – erano realizzati in PET (Polietilene Tereftalato: 38%), ovvero la tipologia di plastica comunemente utilizzata per le bottiglie per l’acqua minerale e le bevande, e in HDPE (Polietilene ad alta densità: 19%), una tipologia di plastica comunemente impiegata per produrre tappi per bottiglie, flaconi, vari tipi di contenitori e relativi tappi.

Un’investigazione condivisa che si ispira ai Brand Audit di Break Free From Plastic

I risultati sulla composizione del littering ottenuti dalle edizioni di Plastic Radar coincidono, per la maggior parte, con i dati raccolti tramite il Brand Audit , ovvero il protocollo messo a punto a livello globale dalla coalizione Break Free From Plastic di cui fa parte anche Greenpeace. Questo protocollo oltre alla pulizia dei litorali e la categorizzazione/catalogazione dei rifiuti dispersi ha come obiettivo l’individuazione dei marchi di appartenenza.
Plastic Radar non è stato presentato dai promotori come uno strumento di analisi scientifica, in quanto ha raccolto segnalazioni che non sono state sottoposte ad un rigido protocollo di classificazione proprio del metodo scientifico, ma piuttosto come uno strumento di partecipazione attiva, investigazione e denuncia. Chiedendo in particolare agli amanti del mare di contribuire alla mappatura dell’inquinamento da plastica, (e incoraggiandoli a rimuovere e differenziare i rifiuti, una volta segnalati), Greenpeace Italia si è posta l’obiettivo di sensibilizzare e di coinvolgere sempre più persone nella soluzione di questa grave crisi ambientale. In particolare con l’identificazione delle aziende coinvolte i cittadini   –  che sono anche i clienti dei grandi marchi    –  diventano parte attiva di un cambio di direzione necessario nell’attribuzione della responsabilità sul fine vita dei prodotti (Responsabilità estesa del produttore/EPR Extended Producer Responsibility) da parte delle aziende che pesa come costi di gestione dei rifiuti prevalentemente sui contribuenti.

Tuttavia    –  secondo Greenpeace Italia    – l’ampia numerosità del campione di segnalazioni ottenute ha consentito un buon livello di attendibilità (confidenza in gergo) dei risultati generali dell’attività ritenendo plausibile che i rifiuti, i marchi e le aziende segnalate fossero effettivamente rappresentativi della realtà di contaminazione dei litorali nazionali.

Risultati: i marchi e le aziende più segnalate con Plastic Radar

Dei 462 marchi identificati dall’indagine di Plastic Radar, San Benedetto, Coca Cola e Estathé sono risultati i tre marchi a cui appartengono la maggior parte delle segnalazioni di rifiuti in plastica. Limitando l’analisi solo ai primi 30 marchi più segnalati emerge che circa il 32,60% dei rifiuti sono riconducibili ai tre marchi prima citati con percentuali rispettivamente del 15,82%, 8,92%, 7,32%.
A completare la classifica dei primi dieci marchi più segnalati contribuiscono alcuni prodotti di comuni marchi di acqua minerale, bevande, alimenti e snack: Acqua Vera 6,16%, Acqua Blues 5,73%, Acqua Levissima 4,67%, Kinder 4,46%, San Carlo 4,03%, Fanta 3,29%, Acqua Sant’Anna 2,87%. Continuando a scorrere la classifica, a farla da padroni sono i marchi dei settori food and beverage ma non mancano note marche di altri settori come BIC (1,80%, al ventesimo posto) e Nivea (1,38%, al ventiseiesimo posto).

Rispetto alle tre aziende produttrici maggiormente segnalate con PLASTIC RADAR (San Benedetto, Coca Cola e Estathé ), è stato possibile individuare anche quali sono stati i prodotti di queste aziende rinvenuti con maggiore frequenza in spiagge, fondali o galleggianti sulla superficie dei mari.

Per il gruppo San Benedetto S.p.A. il marchio più segnalato è stato per l’acqua minerale San Benedetto ( con l’87,65% delle segnalazioni del gruppo), seguita da Schweppes (5,29%) e acqua Guizza (4,12%). Anche per le altre due aziende produttrici ai vertici della classifica di segnalazioni ricevute da Greenpeace, ovvero The Coca-Cola Company e Nestlé Italia S.p.A., i prodotti maggiormente segnalati sono stati principalmente bevande: Coca Cola (53,50%), Fanta (19,75%) e acqua Lilia (16,56%) per The Coca-Cola Company mentre Acqua Vera (37,66%), Levissima (28,57%) per Nestlé Italia S.p.A. Quest’ultima risulta l’azienda con il maggior numero di marchi di appartenenza identificati: ben 20.

Da Plastic Radar a “ABR Radar”

Come coalizione della campagna “A Buon Rendere” di cui Greenpeace è parte abbiamo preso ispirazione da questa iniziativa e dallo strumento del Brand Audit in generale lanciato dalla coalizione internazionale di Ong Break Free from Plastic perché lo riteniamo uno strumento estremamente efficace per spingere le marche a prendersi la completa responsabilità del fine vita dei propri prodotti. Gli schemi basati sul principio della responsabilità estesa del produttore, assicurano che i produttori che immettono imballaggi sul mercato, si assumano la responsabilità del loro intero ciclo di vita : dalla progettazione, alla raccolta, selezione e avvio al riciclo dei rifiuti, fino allo smaltimento finale.

Si tratta di ABR Radar, una WebApp che funziona per ora solamente dal telefono (senza necessità di essere scaricata) in cui è possibile segnalare i soli contenitori di bevande contribuendo alla formazione di una banca dati che fornirà dati sulla tipologia di contenitori di bevande e relative marche che maggiormente si ritrovano dispersi in contesti urbani e naturali. L’iniziativa è finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti negativi del littering a livello economico e ambientale e soprattutto per spingere i decisori politici e aziendali a considerare che abbiamo a disposizione uno strumento di straordinaria efficacia come il sistema di deposito cauzionale che dovremmo adottare prontamente. I produttori di bevande verranno invitati ad aderire alla nostra campagna   o comunque a rendere nota la posizione aziendale rispetto all’introduzione di un DRS per contenitori di bevande.  I sistemi di deposito cauzionale, grazie al meccanismo del deposito, rappresentano lo strumento più efficace nell’applicazione del principio dell’EPR (Responsabilità Estesa del Produttore). Si prestano inoltre ad altre applicazioni come nel caso dei contenitori di cibo e bevande da asporto (e da trasporto) prevenendone la dispersione nell’ambiente e assicurandone invece un garantito riuso o riciclo.

Purtroppo il sistema di deposito cauzionale per contenitori di bevande confezionate viene osteggiato nel nostro paese a partire dalla maggioranza di governo. Di fatto tranne poche eccezioni –  come nel caso dell’Acqua Sant’Anna –  anche il comparto dei produttori nazionali di bevande, a differenza della compagine europea, non sta certamente promuovendo la misura, che viene invece apertamente contrastata da ambienti confindustriali, consortili e da associazioni come Utilitalia, Coldiretti, CNA, e altre affini. Per maggiori info visita la pagina dell’iniziativa.

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